Tommaso Campanella, Poetica, p. 376
risse e li adultèri delli dèi, lo sdegno di Meleagro e altre
simili, son
cose favolose, ma pertinenti tutte alla medesima
azione, le quali disgressioni si suol
lasciare [al
poeta], ma non deve fare l’istorico, badando egli solo
alla pura
narrazione.
Similmente in Virgilio l’azione principale è che Enea,
partito da Troia, navigò il mar
Tirreno, se ne venne
in Italia mandato dal fato e, fatto guerra con Turno,
guadagnò il paese e diede origine a’ Romani, con tutto
quello che per narrazione
tale si richiede. Poscia li venti
d’Eolo, li sdegni di Giunone, la fortuna sua e di
Didone,
per amor di cui ella arse nel rogo, la narrazione della
guerra troiana,
l’andare all’inferno di Enea, Polifemo, li
giochi siciliani e altri simili, son tutti
episodi fatti per
l’azione principale, ma più forse eccedenti l’unità, che
non
quelli d’Omero.
Certo è molto necessaria questa unità di poema, che
tutte le sue parti rispondano in
una e abbia principio,
mezzo e fine – come l’orazione ha, ma altrimente disposto –
ché, senza quella, ogni maraviglioso poema diventa
ridicolo e mostruoso; non
altrimente che se un pittore
facesse un’imagine con dieci mani, con quattro piedi,
con due dita, composta di diversi animali, li quali,
avvenga che tutti
separatamente fussero belli, nondimeno
uniti in un corpo sono disdicevoli, mostruosi e
brutti.
Per questo Orazio, volendo commendare più che ogni
altra cosa l’unità del
poema, propone avanti agli occhi
quel mostro sì disdicevole:
Humano capiti cervicem pictor equinam
iungere si velit et varias
inducere plumas.
È già manifesto che la poetica sia imitazione della natura
stessa più al vivo e
peculiarmente che l’altre arti parlatrici;
e perché, quante volte la natura produce
cose
composte di tante diversità sostanziali, si dice far mostri –
ché la varietà
delle cose esterne non fa mostro,
come li molti colori d’alcuni uccelli manifestano –,
così
ancora, quando le fa manchevoli o eccedenti, come
l’uomo senza testa o senza
piedi, mozzi o piccioli in proporzione