Tommaso Campanella, Poetica, p. 377
del busto, o grande tanto che ecceda il resto
in proporzione, parimente
mostri produce.
Così il poeta, aggiongendo o sottraendo parti al suo
poema, si dice partorire mostri;è ben vero che, quando
molte cose diverse ad un fine s’ordinano, ciò non avviene,
come il Dialogo d’amore di Platone: benché diversi
uomini
di diverse professioni favellino, nondimeno tutti
ad uno scuopo tirano, perché tutti
dell’amore secondo è
necessario alla sua arte ragionano, e hanno ancora l’unità
dal tempo e dall’azione del convito, a tutti commune.
Così Dante parla di cose
infinite diversissimamente in
sostanza, luogo, natura e tempo: nondimeno tutte le
riferisce al suo passaggio, che ha fatto per considerazione
delle cose
dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso, le quali
sono come tre parti integrali di tutta laCommedia,
unite in corpo di considerazione appresentativa di
tutta
l’università mondana e umana; nel medesimo [modo]
che uno, volendo
significare una cosa assoluta nell’imprese
che si fanno da coloro, i quali vanno alla
guerra
con scudo bianco e poi sopra di quello artificiosamente
dipingono quello
che han fatto di glorioso, e usa ognuno
metter ogni suo atto e disegno per sua impresa;
dico che,
volendo d’una cosa assoluta dire, dipingerà un sol corpo,
come il leone,
significando la sua fortezza e magnanimità:
ma se una cosa trapinge, la quale ha
relazione
a molte, bisogna che molti insieme corpi accoppie, come
colui, che vuol
mostrarsi oscurato il cuore per non
potere con la sua amante favellare, per essersi
alcuno
interposto, o dipingerà l’eclisse con la terra in mezzo,
con il sole
dall’altra parte e la luna dall’altra oscurata,
ovvero una palma lontana dal sole, la
quale perciò
non suole fruttare, dove bisognano più cose opposte
ad una cosa
rispettiva, ché molte vengono a rappresentarla.
Così dico che il buon poeta e uno e più corpi di poema
può fare ad un modo indrizzati,
che uno solo rappresentino,
altrimente sarà molto dispiacevole. Perciò l’Ariosto,
benché sia ammirabile in tutte le sue parti del
poema per la vaghezza delle favole
e per l’imitazione