Tommaso Campanella, Poetica, p. 378
degli eroi e forse d’ogni altro personaggio, e per le descrizioni
belle
de’ paesi, fiumi, monti, mari, procelle e
d’ogni altra cosa, che vi par vederla, mentre
che la dipinge
cantando dolcemente: nondimeno, per aver disunita
l’azione, non
sapendo se egli dèe cantare dell’imprese
d’Orlando, della sua pazzia – come Omero
quella
dell’ira d’Achille –, o li gesti di Ruggiero, a cui mostra
indrizzare poi
più l’intento e a cui dona il fine glorioso
del poema, o l’impresa d’Agramante, o la
diversità d’amori
de’ cavalieri erranti, perde assai di riputazione e,
veramente,
a chi dentro il riguarda, pare un copiatore
di favole disunite, o tessitore – come egli
disse – di lana,
lino e seta e ginestra e fila d’oro: però bisognali spesso
e
cinque e sei volte tagliar la tela e le fila con disgusto del
lettore. Il quale errore
volendo egli mitigare, l’addolcisce
con quelle parole:
Mi chiama
Orlando, mi chiama Ruggiero,
ch’ora s’annega s’io non lo cavo… ecc.
Tutti questi episodi concludono in uno. Il Boiardo poi,
inoltre a questo errore, fa un
mostro e forse per diffetto
della Chimera sua senza piedi, li quali volendo a lui
aggiongere l’Ariosto, fece di quelli piedi aggiornti più
capi, mani e busti, che
non ponno stare in una Chimera
o in un Briareo.
Sì come nella pittura non si cominciano a dipingere
i capelli nel principio, né piedi,
né le mani, ma dalla
faccia e disegno – non altramente che la natura dalle
principali parti in mezzo al corpo, che è il cerebro, il
cuore e il fegato –, così
li poeti da un certo mezzo dell’azioni,
convenienti dal principio e fine suo istorico,
devono
il poema comminciare e servirsi delle cose passate,
che doverebbono essere
principio, per episodio mezzano
al poema. Così si vede Virgilio dalla navigazione che
fece
Enea, quando comminciò a scorgere l’isola di Sicilia,
dar principio all’Eneide, quando dice:
Vix e
conspectu Siculae telluris in altum
vela dabant laeti…,