Tommaso Campanella, Poetica, p. 380

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e la maggior, non solo del capitano, ma di tutti i suoi
privati e principali insieme, dove si devono augumentar
le difficoltà e accrescere le virtù dell’una parte e dell’altra,
sendo l’estremo, come avviene quasi a tutte le cose
naturali, e inchinar il fato, cioè l’ordine decreto, alla
parte che mantiene la ragione, la quale per questo si fa
forte [e] vittoriosa, ché combatte per caldo di ragione
animata, e non per rabbia di superbia e avarizia, come
fa chi mantiene il torto. Qui si vede come ragionevolmente
abbiamo dato il primo luogo al poema eroico e
non al tragico, come pare che facciano i Peripatetici,
perché non solamente contiene l’epilogo il fine tragico
della nemica parte, movente gli animi alla considerazione
delle miserie umane, mentre l’appresentano brugiar
città e paesi, insaguinarsi spade in eroi soliti a vincere
dell’una e l’altra parte e morir, per mano di bassi soldati,
prìncipi, regi e li lor figliuoli, de’ quali sempre se
ne introducono assai per far la cosa più mirabile, qual
fu Priamo e tanti suoi figliuoli e prìncipi ausiliari, Turno
e Mesenzio, Pallante e gli Proci di Penelope; onde
ben Dante fa chiamar [quella di] Virgilio «tragedia
alta»:

Sì come canta l’alta mia tragedia.

Ma ancora introduce l’epopea più che la tragedia tante
azioni magnanime, vittorie e allegrezze de’ vincitori,
e tanti atti di vizi e virtù fatti in campo, nelli padiglioni,
nelle città, nel combattere e nell’ozio, che insegnano e
li prìncipi e li soldato e li privati uomini a vivere con virtù,
specchiandosi in altri, e come si debbono passare in
tutti li loro andamenti. Qui bisogna avvertire che la
morte de’ più valorosi nemici, quali sono gli Ettori,
gli Arganti, li Rodomonti, gli Agramanti, si deve attribuire
secondo il commodo della narrazione a’ più valorosi
capitani vincitori, come ad Achille, ad Orlando
a Rinaldo e, dove questi mancano, ad Enea stesso; però
non ad ogni cosa indrizzarà un solo, ché il poema non
sarebbe vago e averebbe dell’incredibile; però al paragone
d’Achille, si fanno gli Aiaci, Diomedi, Tancredi

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