Tommaso Campanella, Poetica, p. 383

Precedente Successiva

quella epistola d’Orazio mandata a Lollio, così fatta;
e così comincia:

Troiani belli scriptorem, Maxime Lolli,
dum tu declamas Romae, Praeneste relegi…,

dove egli considera bene le cose dette da Omero e dice
che non s’impara da filosofo alcun più che dal suo poema,
teatro della vita umana; e invero è così, perché [dice]
in esempio e in canzone quello che i dotti dicono dottrinalmente,
come ne ammonisce il buon Savonarola. Pure
dirò: Omero non propone uomini da imitare, perché
tutti sono viziosi i suoi prìncipi, altri che Nestore e,
forse, Diomede, perché Ulisse stesso fu savio di sapienza
umana, non divina da legislatore, qual fu Enea pio, e
Ulisse traditore e timido, avendo precipitato Astianatte,
figliuolo d’Ettore, temendo che un giorno si vendicasse
del padre: il che è segno di esser a sé consapevole di codardia,
almeno in futuro, quando non sarà accompagnato
questo da crudeltà; pure viene bellamente lodato
nell’Iliade. Nondimeno Achille e Agamennone, di cui
più si tratta, furono stoltissimi, onde Orazio stesso di
questi re greci dice, e di quei dentro Troia:

Stultorum regum et populorum continet aestus…
Iliacos intra muros peccatur et extra…,

talché è buona l’Iliade per conoscere la stoltizia de’ governanti,
le sedizioni de’ popoli e come si racquetano, e
come si combatte e li colpi delle fortune, più tosto
per schifare che per imitare, come più tosto doverebbe essere.

Si dona ornamento dunque al poema, e per mezzo
delle parole colorate e figurate, e per mezzo delle cose,
delle quali parleremo poi. Di queste diciamo, che sono
due maniere di colorare per esse, cioè prima esprimendo
minutamente le cose che si dicono, descrivendo il luogo,
il tempo di tutte le particolari azioni dell’impresa, le
condizioni degli uomini, i colori, la grandezza, i gesti,
gli abiti e l’effetto delle passioni loro, di modo che, se
fusse la cosa falsa, dicendosi tante circostanze di lei,
appar vera, perché muovono quelle siffattamente l’animo,

Precedente Successiva