Tommaso Campanella, Poetica, p. 384
che più all’imaginazione d’esse che al vero di
quella s’aggira e si
rapisce. È mirabile in questo [Omero],
massimamente nel dipingere li cavalieri, le
zuffe, le
morti, minutamente alcuno rappresentando; Dante fra
i nostri è il primo,
come si può vedere dal dipingere il
suo viaggio, dalle visioni de’ demoni, del girone
di quei
giganti, massimamente de’ capitani di Lucifero, delle
pene, che leggendo
vi commuovono; e nel Purgatorio
quelle dipinture dell’Annonziata e dell’arca santa e di
Traiano, le quali ci
rapiscono a veder con l’animo e ci
inducono quelle passioni che l’autore descrive, non
di
meno [di] Timoteo musico, il qual sonando apportava
maninconia o collera o
piacere, come a lui pareva, per
saper imitar bene quei moti, che tali movimenti
arrecano
al nostro spirito. È assai eccellente l’Ariosto ancora in
quelle
singolari battaglie, narrando gl’incontri, l’armi,
i cavalli, i fregi, i colpi, le
cadute, con tutti i lor modi,
inoltre che a tutte l’altre cose accomodatissimo e a
questa.
Invero è che l’imitazione perfetta del poeta, che tira
gli animi senza ridicolosità,
perfettamente imita i colori
e i modi della natura, e l’arte è un’imitazione; dunque,
quanto più imita, tanto è più bella; il bello è segnale
del buono; il buono è
quello che ci conserva, come il
male quello che ci strugge: però quello piace e questo
dispiace. Dunque la buona arte dell’imitazione, propria
dell’uomo, ci dona saggio
di bontà, procurata dal Sapere
Eterno, il quale guida le cose tutte, non solo noi, a
gli nostri artefici conoscere e diventar eterni, e ci promette
conservazione: però
piace grandemente, come diremo
appresso. Onde diciamo nell’arti bello quello che
imita bene, non quello che è bello per natura, come Venere
appresso Luciano si
vanta d’esser più bella del dio
Anubi, avvenga che essa fusse stata tagliata in marmo
e questi in oro.
Secondariamente si colora il poema con le cose finte
e favolose, ordinate a tempo nel
luogo suo, e soprattutto
denno avere del verisimile, però non molto lontane
si
fanno dall’opinione volgare di quel paese a cui si scrive,