Tommaso Campanella, Poetica, p. 390

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In nova fert animus mutatas dicere formas
[corpora]. Di coeptis…
ecc.,

come fa Ovidio, mostra da sé aver cominciato, senza
aiuto; non quel che dice un altro:

Chi ben comincia ha la metà dell’opra,
né si comincia ben se non dal Cielo.

Io [non] parlo delli poeti sagri, i quali per tutto sono conosciuti
ispirati da Dio, onde a senno di Dio ponno cominciare
da [la proposizione, come fa] David, altre volte
invocando Dio a parlar di lui, perché questi in tutto
e per tutto devono dallo Spirito Santo esser guidati e,
come quello ispira, essi dicono senza fallo; ed è tanta
la divinità del lor dire, che si sa certissimo, che per bocca
loro parli Domine Dio. Ma io ragiono di questi poeti
nostri, che vogliono poetare umanamente, e non hanno
tanta grazia, e vogliono far valer i lor poemi: il che
non ponno, se da Dio esser guidati non si mostrano,
perché il servo non è obedito né inteso, se non porta
parola o patente del padrone: onde consiglio, che più
tosto invocando debbano dar principio, né siano ostinati
in questo, perché Virgilio, uomo intendentissimo,
comincia proponendo:

Arma virumque cano… ecc.,

se non vuol fare per cautelarsi contro i Batti, soliti
ad usurpar l’altrui fatiche, congiongendo questo principio
a quei quattro versi:

Ille ego qui quondam… ecc.,

ma questo non si può asserire, perché la Georgica ancora
ha principio dalla proposizione; però è lieve errore,
come si può giudicare.

Tutti li poeti devono invocare la divinità con quelle
proprietadi e virtudi proporzionate alla materia loro:
appresso noi ci abbiamo una sola Deità in tre Persone,
però gli antichi trovôrno le Muse, corrispondenti all’arti
liberali e all’affezioni del dicitore: e, come accenna
Platone, alle cose liriche e amorose era atta Polimnia,

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