Tommaso Campanella, Poetica, p. 394

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ma su nel ciel infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona…,

perché riman dubbioso s’egli invoca la Sapienza divina
o la beata Vergine, prima, perché né l’una né l’altra
sta infra, ma sopra i beati cori, anzi, è testimonianza
sagra e divolgata che la Madonna sta sopra i cori degli
angioli, e la Sapienza sopra essa beata Vergine ancora;
secondo, quel che dimanda, dicendo:

Tu inspira al petto mio celesti ardori...

par che convenga alla Sapienza od allo Spirito Santo,
ma gli epiteti sono della Madonna, la quale nelle sagre
leggende è detta aver in testa corona di stelle, come s’interpreta
da tutti quasi gli espositori dell’Apocalisse e
i sacerdoti prèdicano; però attribuire tal corona, contro
l’uso, al Senno Eterno è sproposito, come se alcuno
dicesse da etnico «il fulminante Bacco», sendo che i fulmini
toccano a Giove, secondo i loro. Di più la predetta
descrizione non fa niente per il poema militare, come
quella di Lucrezio per gli epiteti della voluttà; e
Ovidio nelle Trasformazioni, i dèi trasformatori invocando,
dice così:

Di, coeptis favete meis, nam vos mutastis et illas.

Di più, per la confidenza e commercio tra il poeta e la
divinità, deve essere molto breve l’orazione, avvenga
che l’affetto del pregante sia lungo: nondimeno questo
s’usa quando è incerta la grazia del pregato e si prega
uno incognito o nemico: però consumare due ottave,
come fece il medesimo, nell’invocazione, è vanità maggiore,
quando la proposizione precede o non è attaccata
con l’invocazione, come è quella di Lucrezio e di Museo.

Affatto è disdicevole persuadere la divinità ad aiutare
in poetare con bellezza di parole, con traslati ed epiteti,
ma si deve a lei parlar puro e schietto, altrimente si
mostrarebbe il poeta voler ingannare la divinità o provocarla
a suo pro, in quel modo che si fa agli altri con
l’orazione incolta; è disdicevole e molto peggiore persuaderla

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