Tommaso Campanella, Poetica, p. 395
con esempi, i quali s’usano solo in persuadere
uomini rozzi e
schivi, come dicemmo nella nostra Rettorica,
né si devono a
sapienti bene animati, e molto
meno dunque alla divinità. Laonde grave errore fu
quello
del Tasso nel faticarsi persuadere alla sua Musa, che
gli perdoni se ei
fregiava la verità con favole bugiarde,
scusandosi con l’esempio del fanciullo
allettato a bere
la medicina amara dagli ammelati orli del vaso, ove
non solamente
pecca nell’addur dell’esempio del fanciullo
allettato a bere, ma ancora pare che voglia
burlare
la divinità: veracemente gli dimanda perdono di
quello errore di menzogna,
che sta per fare in quel punto.
Non altrimente che se uno, tirando una guanciata
ad un altro, dicesse: – Perdonami, ché io lo faccio per
compiacere ad un inferior
tuo –; inoltre, che non ha
del verisimile che alcuno questo faccia: pertanto questa
invocazione appare una mescolanza di parole annotate
senza giudizio, onde ben
disse Crisostomo: «Nemo
pergens ad furtum signat se signo crucis, ut
bene prosperetur
in furto», come fa costui; di più il lettore
giudizioso, a
prima fronte leggendo, conoscendosi trattare
da fanciullo allettato dalla falsità, non
vorrà leggerlo,
anzi si sdegnerà col poeta.
Dunque fia regola generale, che il poeta presupponer
debbia di dir il vero e non
scoprir l’arte con la quale
s’inganna il lettore o muove ad imparar quello che si dice:
altrimente non si lasciarà persuadere, anzi schifarà
e anderà sempre sospetto
nella sua lezione, sì che l’arte
mancherà d’esser arte, sendo scoverta, come diceva
Cicerone;
e quantunque Lucrezio avesse usato queste parole
medesime:
Nam, veluti pueris absinthia… ecc.,
e quel che
segue, più sopra scritto, onde il Tasso traslata
ad verbum la
seconda ottava dell’invocazione, nondimeno
Lucrezio ciò non fa nell’invocazione al
principio,
ma nell’ultimo del primo libro, scoprendo l’arte doppo
avere bene
animato Memmio alla sua dottrina e fattogli
gustare i princìpi di quella; ed è offizio
di filosofo scoprir