Tommaso Campanella, Poetica, p. 412
sperienza e scienza, onde nasce il sapere imitare, è principale
in questo
mestiero, perché ne sape anco le cause
e ragioni di questi effetti e modi di operare,
le quali
sono per la lunghezza impossibili dire al presente.
Sa molto bene il filosofo perché il vecchio è avaro,
scrupoloso e tardo; e i giovini
prodighi, imprudenti,
sfrenati; [e i] pedanti superstiziosi nel parlare, bisognosi
sempre; e i soldati vantatori e sbravacci; i servi solleciti,
astuti d’astuzia
servile, non eroica, precipitatori de’
negozi de’ padroni, credendosi di mostrarsi atti
a servirgli
e compiacergli con ogni modo di sottigliezza
che trovano; le serve,
ruffiane, lusinghiere, predicatrici
di castità, maliziose in basso genere; li parasiti,
loquaci,
ingiuriosi, adulatori e poltroni; le cortigiane, superbe,
fastose,
dispettose, gelose, lusinghiere, ingannatrici,
che ad ognuno si vendono per verginelle;
e così
degli artefici e professori. Ma i nostri poeti, non sapendo
le cause né
l’imitazioni da per sé, si sforzaranno guardar
bene e osservare i costumi e modi di
tutte quelle persone,
che introducono a parlare, e poi componenere il
poema.
Si introdurrà qualche ridicolo Trastullo e Graziano o
simili, per fare che gli animi
non si saziino d’imparar sempre
cose serie; mai si deve introdurre divinità nelle
commedie,
sendo cosa seria, come è la tragedia; non si deve
biasimare uomini
grandi palesandosi apertamente, come
dice santo Agostino dichiarando le Leggi di Cicerone;
si farà in modo che ognuno del suo errore
s’accorga
senza essere nominato; non si burlerà di errore
di religione, come fa
l’Anfitrione di Plauto, perché guasterà,
non sanerà i costumi
del popolo. La Commedia
di Dante, perché è seria, e teatro di tutta la vita universale
e del nostro fine,
e non [è fatta per] rappresentarla,
ma per leggerla ciascun grand’ingegno e signore,
con
manco biasmo nomina quelli che crede degni di vituperio.
Non si mangiarà, né
ballerà, né si faranno sponsalizi
in presenza del popolo, come anco le morti non
si fanno in pubblico nella tragedia, che ha tal fine opposto
al comico.