Tommaso Campanella, Poetica, p. 419

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delle cose che ella significa, espressa con gl’istromenti
vocali; tutte le cose noi sentiamo, perché lo nostro
spirito è mosso da quelle, e poi, quando vogliamo
additargli a chi vive con noi, imitiamo col moto dell’aria
respirata il movimento, che abbiamo ricevuto dalle
cose sensibili. Però, sendo la voce aria mandata fuori del
polmone per l’arteria vocale, veniamo noi a battere con
li denti e con la lingua e con il palato e con le labbra quel
medesimo aere respirato, il quale suona, cioè si muove,
perché suono è il medesimo che moto, e ’l figuriamo in
quanti modi fa bisogno esprimere diverse maniere di
passioni, che in noi si fanno, tanto da noi in noi recateci,
quanto dalle cose sensibili.

Le passioni schiette, in noi per cagioni interne od
esterne fatte, inoltre che col volto, con li gesti e con il moto
del corpo le dimostriamo; e quando solo l’affetto
d’esse noi esplichiamo, basta solo con l’arteria vocale figurarlo,
e col più e meno fiato, e più e meno stretto, le quali
figure in scritto si dicono lettere vocali, onde s’usano
li gemiti, l’ammirazione, l’ira e simili affetti, [che] si
fanno solamente con la voce dell’arteria al detto modo
rimandata. Avendo poi a dire le cagioni interne ed esterne
di queste e di tutte le altre passioni nostre, che
intendimenti, imaginazioni e sensazioni si dicono, bisogna
figurar esse cose quanto all’effetto loro, e in noi
e altri enti, del movimento proprio d’esser perceputo:
come dal tup tup, che sentiamo fare quando con un legno
un altro si percuote, è nato il verbo τύπτω a’ Greci e
a noi «batto», e dal vibrare dello staffile, «verbero» a’ Latini,
onde per prononziarlo battiamo i denti e le labbra o
vibriamo la lingua, e queste figure si dicono consonanti.
Per questo in diversi climi diversamente s’imitano queste
cose, secondo che più o meno ponno aprir la bocca
li parlatori, o rilassati dal caldo consonante o dal freddo
coartati, ond’è che i settentrionali borbottano con molte
consonanti, liquidamente corrono le parole del Veneziano,
simili al lor polo e aria, non perdendo la parola
[la] vocale del fine, onde quel che noi «capo», i
Lombardi freddi con li Veneziani «co’» pronunziano.

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