Tommaso Campanella, Poetica, p. 430

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dell’uditore la cosa che si tratta; ma sarebbe vizio servirsene
in ogni cosella. Così l’altre figure – cacologia
e cacofonia – si devono fuggire, salvo quando, per ragione
d’imitare una cosa sporca o fare un dicitore goffo,
si frammettono.

Finalmente, la regola degli atti, modi, persone, tempi,
luoghi e cose e maestà del vero poeta è nelle voci e
nelle lettere e nella testura del poema e nel numero
del verso, perché a cose languide, versi languidi, a cosae
rotte, rotti, a pericolose, mal numerati, come:

Cornua velatarum obvertimus antemnarum

e simili, convengono; e ad amori vezzosi, versicelli di voci
demonstrative composti, a gravi, gravidamente, che mettono
quasi in prospettiva quello che dicono, che ivi
paia vederlo.

Questa sola regola basta a fare il poema, e tutte l’altre
a questa si riducono, e se mille anni io dicessi, non potrei
formare un poema senza di quella, né far che diventi
poeta colui che non è atto a poetare e ad imitare e
delle cose non riceve le loro imitazioni. Questo si presuppone
alla grammatica e rettorica.

Deo gratias

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