Giovanni Aquilecchia

Il linguaggio filosofico di Bruno tra comoedia e tragoedia

Presentazione dell'intervento

Puntualizzato il significato specifico di comoedia e tragoedia in rapporto all'assunto - rifacendosi, in apparenza anacronisticamente, ma nondimeno funzionalmente, a formule medievali - si richiama anzitutto l'interpretazione del linguaggio bruniano esposta da Michele Ciliberto nella Introduzione al suo prezioso Lessico di Giordano Bruno (1979), la quale poggia sul rilievo di un rapporto tra lingua e natura auspicato dal filosofo. Preso atto della susseguente variazione interpretativa enunciata da Mario Agrimi (1980), il quale riscontrava piuttosto una posizione nominalistica nella teoria bruniana del linguaggio, si prendono le mosse ancora dalla dichiarazione di Ciliberto, secondo cui l'"impasto 'volgare'" nei dialoghi bruniani "non era accidentale, e non era riconducibile a un ordine parziale, fosse pure quello della terminologia filosofica": tanto che "un lessico filosofico di Bruno può essere solamente un Lessico di Giordano Bruno". La verifica è condotta inizialmente mediante riscontro tra i termini metafisici elencati dallo stesso Bruno nella sua Summa terminorum metaphysicorum, di cui si dispone ora della ristampa anastatica a cura di Eugenio Canone, che l'ha corredata di indici risultati utilissimi ai fini della verifica stessa: dalla quale risulta che dei 52 termini della Summa ben 37 risultano riscontrabili nel Lessico (s'intende nell'equivalente italiano), indicando una definita componente della varietà del linguaggio bruniano sul versante della tragoedia. Discussi i termini 'metafisici' assenti in forma diretta, si passa a considerare la componente lessicale scientifica sulla base dello spoglio ragionato effettuato da Luisa Cozzi nel suo pregevole contributo Il lessico scientifico nel dialogo del Rinascimento. Dal nostro angolo visuale, tale spoglio rileva un uso dualistico che sembra senz'altro giustificare la qualificazione linguistico-stilistica del linguaggio filosofico bruniano "tra comoedia e tragoedia", pur nell'ambito ristretto delle novità formali o semantiche. Inevitabile forse, a questo punto, il rilievo di 'anticipazioni' bruniane al linguaggio scientifico galileiano: rilievo che non manca di giovarsi - oltre che di due nostri recenti contributi comparativi - della tuttora funzionale indagine di Maria Luisa Altieri Biagi su Galileo e la terminologia tecnico-scientifica (1965): anticipazioni che possono investire sia la tecnicizzazione di termini colloquiali (versante della comoedia) che l'adozione di termini della tradizione tecnico-scientifica (sul versante della tragoedia), con o senza variazioni semantiche. Quanto al linguaggio della tradizione neoplatonica, derivante in Bruno soprattutto dal corpus ficiniano, pur senza astenersi da rilievi pertinenti, si ritiene di dover fare riferimento ai pregevoli lavori in corso di Rita Sturlese, in particolare con riferimento alla dimostrazione fornita dalla studiosa di una 'sovrapposizione' immanentistica bruniana al trascendentalismo ficinano nella sua espressione formale: superfluo notare che in questo ambito il versante è decisamente quello della tragoedia. In una finale esemplificazione dei due poli linguistici si rinvia a passi classici dell'opera dialogica bruniana. Al di là, o piuttosto al di qua, delle interpretazioni del pensiero di Bruno sulla lingua, la conclusione indica una variatio definitoria al tema proposto del "linguaggio filosofico di Giordano Bruno".

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Michele Ciliberto

Tra filosofia e teologia: Bruno e i puritani

Presentazione dell'intervento

Negli ultimi tempi si è lavorato con sufficiente intensità all'analisi del periodo trascorso da Bruno in Inghilterra fra il 1583 e il 1585 - un periodo, occorre dire, di valore straordinario nell'esperienza umana e intellettuale del Nolano. Si è indagato sui rapporti fra Bruno e gli ambienti filosofici contemporanei, così come si è scavato sui suoi rapporti con le tendenze politiche fondamentali operanti alla corte di Elisabetta di Inghilterra (riconsiderando a questa luce anche le varianti dell'ultima redazione della Cena de le Ceneri). Meno si sono studiati invece i suoi rapporti con le correnti 'religiose' e 'teologiche' del suo tempo; eppure negli anni trascorsi da Bruno in Inghilterra la chiesa inglese fu scossa da conflitti - che avrebbero potuto essere addirittura mortali - fra gli anglicani da un lato e i 'puritani' dall'altro ("i più estremisti fra i protestanti").

Senza alcun dubbio, con i 'puritani' Bruno fu dunque costretto a fare i conti fin dal suo primo viaggio a Oxford, al seguito del principe polacco, Alberto Laski (un personaggio, sia detto di passaggio, su cui occorrerebbe indagare più a fondo sia per il carattere singolare della sua figura sia per il ruolo che assai probabilmente ebbe nell'introdurre Bruno nell'ambiente oxoniense). A Oxford infatti, a quella data, esisteva una forte comunità di 'puritani', come dimostra l'esistenza della "classis of Oxford" (nella 'classis' erano riuniti i 'ministri' di dodici parrocchie per trattare dei problemi comuni). Oltre a una figura d'eccezione nella storia del primo puritanesimo inglese quale Edward Gellibrand ("the head of the Classis movement in Oxford, and one of the general leaders always consulted when any matter of great importance arose"), della comunità oxoniense faceva parte John Rainolds, il quale insieme a Jewell e Hooker era, per riconoscimento unanime, fra i massimi esponenti della cultura inglese del suo tempo ("He was a living library and a third University", si legge in un suo 'ritratto').

Rainolds, dunque: per comprendere quanto radicale - e insuperabile - fosse lo scontro di Bruno con gli ambienti puritani inglesi, e l'impossibilità che egli potesse mai avere una cattedra oxoniense, basta leggere le pubbliche praelectiones che Rainolds venne tenendo a Oxford, anno dopo anno. In esse - preventivamente, si può dire - sono rifiutati, punto per punto, tutti i capisaldi delle posizioni che Bruno cerca di sostenere prima a Oxford, poi a Londra, nello sforzo di stabilire relazioni positive con gli ambienti culturali inglesi. E' sintomatico, del resto, che proprio in una lettera a Rainolds, R. Hooker abbia parlato di Hugh Broughton come di "an English Jordanus Brunus", sicuro che il suo interlocutore avrebbe bene inteso cosa egli voleva dire.

Ma il problema dei rapporti di Bruno con la vita religiosa inglese - e del suo atteggiamento nei confronti della lotta che allora scuote la chiesa anglicana - è altrettanto importante per comprendere testi come lo Spaccio e la Cabala, i quali difficilmente possono essere intesi al di fuori di un quadro di problemi in cui s'intrecciano motivi di ordine politico, religioso e anche teologico. Al fondo, lo Spaccio vuole essere appunto questo: un trattato De vera religione, capace di indicare all'Inghilterra e ai suoi governanti la via da seguire per uscire dalla crisi in cui l'avevano precipitata, oltre che le congiure 'gesuitiche', gli 'estremisti' puritani. Del resto, che questi fossero, a quel momento, i termini effettivi del problema lo conferma un personaggio autorevole come Richard Bancroft - destinato a succedere a John Withgift come Arcivescovo di Canterbury - pubblicando nel 1593 un lavoro fondamentale dal titolo eloquente: Dangerous positions and proceedings, published and practised within this island of Brytaine, under pretence of reformation and for the presbiteriall discipline.

Ma se dal punto di vista dell'analisi - e dall'individuazione dei problemi, a cominciare da quello, cruciale, del 'giuramento' - è possibile rinvenire punti di contatto fra Bruno e il vescovo anglicano, opposte sono naturalmente le soluzioni individuate: mentre Bancroft si muove all'interno di un cristianesimo moderatamente riformato, il Nolano mette a fuoco una prospettiva di carattere nettamente pre (e post) cristiano, assumendo come punto di riferimento l'antichissima sapienza degli Egizii. In altre parole, muovendo dall'analisi della situazione inglese - e dall'assunzione della centralità del rapporto tra religione e civiltà - nel primo dialogo morale Bruno mette al centro della sua ricerca il problema della "vera religione", cioè della religione "civile" e "naturale" dalla quale, solamente, possono scaturire buone leggi, buone dottrine, buoni comportamenti. E' questo programma - di carattere religioso, politico e scientifico, al tempo stesso - che egli propone nello Spaccio all'élite politica e culturale dell'Inghilterra - da Philip Sidney (cui il dialogo è dedicato) alla regina Elisabetta: una nuova religio "civile" e "naturale", frutto dell'Asclepius di Ermete Trismegisto e dei Discorsi del Segretario fiorentino, da cui possa germinare, finalmente, una nuova epoca di pace, di unione, di accrescimento delle scienze e del sapere per l'Inghilterra e, al contempo, per l'intera umanità.

Come già era accaduto altre volte, a Bruno non restò che registrare il fallimento di tutti i suoi progetti: della qual cosa dà conto la composizione della Cabala, un testo che in genere si legge come una sorta di continuazione dello Spaccio. Le cose stanno in modo precisamente opposto, come dimostra la stessa natura dei due dialoghi: se lo Spaccio è un testo sulla renovatio, nella Cabala è il tema della decadenza universale che predomina e s'impone. Tutt'altro che variazioni - e sviluppo - di un solo motivo, lo Spaccio e la Cabala rappresentano due aspetti di fondo della riflessione di Bruno, organicamente connessi - l'uno all'altro - alla battaglia 'antipuritana' del 1584-85, ma pure distinti e inconfondibili, da ogni punto di vista.

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Amalia Perfetti

Fonti lucreziane in Bruno: la terra come 'madre delle cose' e la teoria dei semina

Presentazione dell'intervento

Se sicuramente l'atomismo epicureo-lucreziano ha in Bruno una portata non irrelevante e può essere iscritto in quella riflessione sulla filosofia della natura che tra Cinquecento e Seicento cercherà modelli alternativi a quello aristotelico imperante nelle università, molti degli aspetti ad esso collegabili si prestano a divenire interessanti chiavi di interpretazione della sua opera. Nella lettura delle opere bruniane, infatti, molti temi richiamano come fonte il lucreziano De rerum natura, che, modello poetico nei poemi francofortesi, aveva già suscitato l'interesse del Nolano, anche come modello cosmologico, nelle pagine del De l'infinito. Tra queste tematiche l'immagine della terra come mater rerum e la teoria dei semina, anche da un punto di vista terminologico, ma non solo, offrono delle possibilità di raffronto tra alcune delle opere bruniane e il poema lucreziano che, se da un lato mostrano la complessità e la stratificazione dei diversi sistemi filosofici considerati da Bruno, dall'altro aiutano a chiarire alcune problematiche presenti nella nuova concezione del mondo della quale il Nolano si proclama araldo. Egli infatti, disvelando "la ricoperta e velata natura", "può e potrà vencere, ed al fine arà vinto, e trionferà contra l'ignoranza generale".

La concezione della terra come madre delle cose e fonte continua del rinnovamento della vita e quella dei semina rerum sono tra loro strettamente connesse, sia in Bruno che in Lucrezio. Non si può infatti isolare il motivo dei semina dall'idea di quelle capacità generative che i due pensatori attribuiscono alla fecondità della terra che rinnova continuamente la vita. Certo non è possibile escludere a questo proposito, anche se in modo più limitativo, altre probabili fonti dalle quali Bruno poteva attingere la concezione della terra come un grande animale, immagine questa che rinviava anche al concetto di anima mundi, richiamando quella tradizione platonica e neoplatonica che soprattutto attraverso le pagine di Marsilio Ficino si era comunicata a tutto il Rinascimento. Le connessioni che è possibile rilevare tra alcuni brani delle opere bruniane (in particolare i poemi francofortesi) e taluni passaggi di Lucrezio confermano un Bruno attento lettore del De rerum natura, fonte privilegiata di tematiche fondamentali del suo sistema filosofico. Se diversi sono i punti delle opere bruniane che si possono far risalire al poema lucreziano per quanto riguarda l'idea della magna mater, molti e sicuramente più complessi sono quelli legati al concetto di semina. L'analisi di quest'ultimo nelle opere bruniane può sicuramente aiutare a comprendere l'interpretazione che dell'atomismo antico dava il Nolano. Il cogliere le minime parti che compongono l'universo è per Bruno uno dei compiti fondamentali, anche se tra i più ardui, del suo sistema filosofico. Insieme al concetto di minimo e di atomo, quello di seme rappresenta uno dei punti nei quali le teorie di Lucrezio sono sicuramente tenute ben presenti da Bruno. In tal senso, egli invita, nelle pagine del De minimo, a seguire l'insegnamento del poeta latino che prima di lui aveva evidenziato la difficoltà nata dal fatto che "nequeunt oculis rerum primordia cerni". Le idee che il Nolano aveva della terra, dei semina, e quindi della generazione rimandano senza dubbio a concezioni molto simili a quelle degli atomisti antichi, ma non solo: ciò che è particolarmente significativo - tenendo ovviamente ben presenti tutte le peculiarità della cosmologia bruniana - è che in Lucrezio come in Bruno questa visione dell'universo concorre a rafforzare quell'idea di infinità propugnata da entrambi e affermata con forza dal Nolano nelle sue opere, proprio dopo aver liberato "l'antiqua vera filosofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne de la cieca, maligna, proterva ed invida ignoranza".

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Eugenio Canone

La Summa terminorum metaphysicorum: fisionomia di un'opera bruniana quasi sconosciuta

Presentazione dell'intervento

Tra la fine del 1590 e i primi mesi del 1591, mentre attendeva alla pubblicazione del De minimo e portava a termine il De monade e il De immenso, Bruno lavorava anche ad altre opere, riprendendo progetti e probabilmente riutilizzando (almeno in parte) materiali precedenti. A quel periodo di intensa attività risale anche la Summa terminorum metaphysicorum, testo di alcune lezioni da lui tenute a Zurigo a "certi dottori", tra cui il teologo e alchimista Raphael Egli. Nella documentazione processuale, un accenno alle lezioni zurighesi si trova nella deposizione del libraio Giacomo Brictano (del 26 maggio 1592) che, riferendosi al Nolano, dichiara: "l'ho conosciuto prima a Francoforte già tre anni sono, et doppo a Surigo [...]; et in Surigo leggeva, per quanto lui mi disse, a certi dottori non so che lettioni, se fossero lettioni de filosofia o d'altra scientia". Nei suoi costituti, Bruno non fa alcun accenno al soggiorno a Zurigo né al carattere di tali lezioni, che sappiamo essere state di metafisica (di una qualche affinità con il De la causa, principio et uno parlava già Felice Tocco, ma nessi significativi si possono individuare anche con i poemi francofortesi). Nella sua prima lettera di denuncia (del 23 maggio 1592), Giovanni Mocenigo fa riferimento a un manoscritto, sequestrato al filosofo e consegnato all'inquisitore di Venezia, che molto probabilmente è da mettere in relazione alla Summa terminorum metaphysicorum: "un'opereta di sua mano, di Dio, per la dedution di certi suoi predicati universali". Non essendosi conservata, tra le carte del processo veneto, la lista presentata da Bruno nel corso del suo terzo costituto, la quale elencava i suoi libri sia a stampa sia manoscritti, che - come lui stesso afferma - "andavo revedendo per darli alla stampa subito che io ne havevo commodità o in Francoforte o in altro luoco", non è dato sapere se tale lista registrasse (e in che modo) quella "opereta di sua mano". Appare comunque curioso che di quel manoscritto non si faccia più alcun riferimento durante il processo, né a Venezia né a Roma, dove con ogni probabilità fu successivamente inviato; manoscritto che forse avrebbe potuto corroborare una delle accuse più gravi contenute nella prima denuncia di Mocenigo: di aver cioè sentito dire a Bruno "che non vi è distintione in Dio di persone, et che questo sarebbe imperfetion in Dio", accusa che del resto sarà confermata ampiamente dalle stesse parole di Bruno durante il processo: "per via di raggione et non per via di substantiale verità - affermerà tra l'altro - intendo distintione nella divinità", dichiarando poi di aver dubitato sin dalla prima giovinezza "circa le divine persone".

Solo nell'autunno del 1594, quando ormai Bruno era rinchiuso nel carcere romano del Sant'Uffizio, Raphael Egli si decise di pubblicare il testo di quelle lezioni, 'dettatogli' da Bruno, come lui stesso afferma nella epistola dedicatoria premessa al volume (apparso a Zurigo nel 1595), in cui tra l'altro il contenuto viene presentato come "non tanto contrario alla dottrina dei peripatetici". Come è noto, nel 1595 veniva tuttavia pubblicata solo la prima parte dell'opera, mentre nell'edizione apparsa a Marburgo quattordici anni dopo, curata sempre da Egli, vedeva finalmente la luce quella Praxis descensus seu applicatio entis che, quale seconda parte del testo, ne illuminava il complessivo disegno concettuale. Purtroppo, l'Applicatio entis risultava mancante della terza sezione, relativa all'Amor seu anima mundi (le precedenti 'applicazioni' riguardavano Deus seu mens e Intellectus seu idea).

Nella relazione si affronteranno in primo luogo alcune questioni di carattere preliminare: dal titolo dell'opera ad altri aspetti relativi al significato, alla struttura e alle fonti del testo pubblicato da Egli. Si proporrà poi, tenendo conto anche di affinità tematiche rintracciabili in altri scritti bruniani, una interpretazione unitaria dell'opera a partire da alcuni motivi di fondo intorno ai quali essa viene a costituirsi: la questione degli attributi divini che implicava la trattazione dei trascendentalia e dell'analogia entis.

La Summa terminorum metaphysicorum è stata finora alquanto trascurata dalla critica. Lo stesso Felice Tocco, cui va riconosciuto il merito di aver per primo insistito sul valore dell'opera, inserendola tra l'altro nel gruppo delle 'opere costruttive' della silloge degli scritti latini di Bruno, dedicava poco più di dieci pagine all'analisi del testo, mentre alla Lampas triginta statuarum, da lui ritenuta - ma a torto - opera di scarso interesse, dedicava ben settanta pagine di commento. E' stato tuttavia Tocco, nel suo fondamentale studio sui testi latini di Bruno, ad affrontare in modo non superficiale la questione della struttura bipartita della Summa terminorum metaphysicorum. Lo storico calabrese faceva interessanti considerazioni sulla nomenclatura della Summa in relazione al quinto libro della Metafisica aristotelica, cui il testo bruniano rinvia esplicitamente. E' qui da segnalare che Bruno utilizza anche la Isagoge di Porfirio, a conferma del fatto che la prima parte dell'opera è intenzionalmente costruita su alcuni testi base dello studio della metafisica, ma l'intento di Bruno non è quello di prospettare un manuale di lessicografia filosofica (anche se il testo può essere utilizzato come una sorta di lessico d'autore). La stessa disposizione delle cinquanta entrate della Summa (che considerano cinquantadue termini) manifesta un preciso ordinamento discensivo - a partire dal termine "sostanza" - che già dichiara l'intento sviluppato poi nella Applicatio entis. Bruno si rivolge alla terminologia classica della metafisica non per comporre un dizionario filosofico ma per porre la questione dell'ente e della sua fondazione metafisica. Confrontandosi nel contempo con un linguaggio 'teologico' che pure quella terminologia implicava, Bruno delinea la sua concezione metafisica in netta opposizione alla teologia trinitaria del cristianesimo.

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Saverio Ricci

'Riformazione', 'eresia' e 'scisma' nello Spaccio de la bestia trionfante. Un Ercole nuovo contro il "peggio che Lerneo mostro"

Presentazione dell'intervento

La più recente ricerca bruniana ha approfondito la comprensione dell'atteggiamento del filosofo nei confronti della Riforma protestante, e del disegno di 'riforma' intellettuale e morale tracciato nello Spaccio de la bestia trionfante. La crisi del mondo è avvertita da Bruno come effetto dell''asinità' religiosa, e delle sue manifestazioni sul piano culturale (la 'pedanteria') e civile (lo 'scisma' della cristianità, la rottura delle 'conversazioni', il 'disquarto' [di] cittadi, repubbliche e regni'). La Riforma protestante ha esasperato le componenti 'asinine' del giudeo-cristianesimo, ha lacerato l'unità spirituale europea, suscitato o aggravato conflitti politici e guerre civili, provocato o affrettato la decadenza di scuole, università e accademie, dissolto i valori di solidarietà e amor di patria, rovinato il costume pubblico e privato. Il Nolano ha avuto esperienza diretta delle conseguenze politiche della Riforma fin dagli anni di formazione nello Studio domenicano di Napoli, lasciando nello Spaccio una significativa interpretazione delle rivolte napoletane contro l'Inquisizione del 1548 e del 1564. Sebbene attratto dalle tendenze anti-trinitarie - attrazione foriera dell'inchiesta disciplinare che avvia le traversie del filosofo e ne provoca la fuga da Napoli e poi dall'Italia -, il Nolano resta estraneo alla Riforma italiana e alle discussioni strettamente teologiche, e risente, probabilmente (come fanno intendere i riferimenti alla perduta Arca di Noè dedicata a Pio V), della mobilitazione anti-eretica e anti-turca promossa dal pontificato Ghislieri. La drammatica conclusione del suo breve soggiorno a Ginevra - dove la Chiesa calvinista ha soffocato qualunque tendenza critica caratteristica in particolare dell'emigrazione eterodossa italiana - segna, insieme, l'inizio della peregrinatio europea del filosofo e l'approfondimento del suo atteggiamento antiprotestante, influenzato dall'osservazione diretta delle guerre di religione in Francia.

E' stata opportunamente rilevata la centralità del periodo inglese del Nolano in relazione alla definizione della sua visione della Riforma, così essenziale allo svolgimento del suo pensiero filosofico, etico e storico-civile. Tra Londra e Oxford, Bruno precisa e determina il suo disegno di 'riformazione' intellettuale ed etico-civile, in cui il rifiuto dell''eresia' protestante e la concezione di un'etica nuova che dissolva il dominio 'asinino' del giudeo-cristianesimo si intrecciano con i nodi fondamentali della 'Nolana filosofia': la critica dell'aristotelismo, l'esplosione infinitistica del copernicanesimo, la polemica anti-pedante, lo sviluppo del lullismo. Lo Spaccio de la bestia trionfante viene concepito e scritto nel pieno delle lotte tra puritani e autorità anglicane, e delle tensioni politiche relative alla collocazione dell'Inghilterra rispetto alle guerre francesi e ai contrasti internazionali tra Spagna, Papato e potenze protestanti. Il programma copernicano e già post-copernicano dispiegato nei dialoghi cosmologici si è scontrato con l'establishment culturale e religioso universitario, in cui la 'pedante' resistenza all'eversione della cosmologia tradizionale si lega all'intransigenza puritana e all'estremismo anti-spagnolo e anti-romano. Bruno cerca interlocutori 'illuminati' nella corte elisabettiana, divisa da profondi contrasti di politica sia interna che internazionale, e registra le oscillazioni e le contraddizioni dei conflitti di cui è spettatore. Sono gli anni in cui gli scrittori puritani e le autorità anglicane si scambiano reciproche accuse di 'Anticristo' e di 'Bestia' apocalittica. Nel linguaggio politico-religioso protestante la 'Bestia' non è più solo la Chiesa romana; 'bestie' sono, per i polemisti puritani, anche i vescovi della Chiesa d'Inghilterra; e secondo questi ultimi, i ribelli puritani, a loro volta, non sono meno 'bestie' dei papisti romani. Lo Spaccio appare nel momento più duro dello scontro. I puritani accusano i moderati (e la corona francese, sotto la cui protezione Bruno vive a Londra) di sotterranea intelligenza con la 'Bestia' romana e con la Spagna, in un complotto contro la vita della regina Elisabetta e contro la Riforma inglese. I moderati, dal canto loro, respingono l'intreccio di fanatismo radicale e di tendenze 'repubblicane', anti-episcopali e anti-chiesastiche che avvertono alla base dell'inquietudine puritana.

Tuttavia, non è solo l'incandescente situazione inglese ad acuire l'attenzione di Bruno e a condizionare lo svolgimento del suo contegno verso la Riforma. Scrivendo lo Spaccio, egli rielabora l'esperienza diretta delle guerre di Francia, e di ciò che ancora proviene da quel paese nella residenza londinese dell'ambasciatore francese Castelnau, suo unico vero protettore in Inghilterra: notizie, echi ed effetti, anche sulla politica inglese, della spaventosa crisi istituzionale, sociale e spirituale che sconvolge la più grande e più antica monarchia cristiana dal continente, in cui conflitti dinastici, gelosie di famiglie, rincrudite avidità feudali e scontri di interessi regionali, municipali e cetuali sono rinfocolati dallo scisma religioso. Nello Spaccio il 'disquarto' degli Stati è effetto di 'eresia'; è il trionfo politico dell''asinità' religiosa nella sua forma estrema, quella protestante. I seguaci francesi di Calvino sono 'finti' riformatori, in realtà, corruttori della vita morale e intellettuale, suscitatori di egoismi e guerre. La 'riformazione' bruniana - contrapposta all''eresia' dei falsi 'riformati', veri 'asini del mondo' - è un progetto di radicale rinnovamento del cielo morale, dal quale vanno espulse le vestigia dell''asinità' giudeo-cristiana e dello 'scisma' protestante, riportando in auge i valori negati della tradizione classica, 'eroica' e 'civile', recuperando le inclinazioni positive del cattolicesimo nella sua 'esteriorità' sociale: il senso della solidarietà e dell'interesse comune, la promozione delle arti e delle scienze, la protezione dei 'buoni filosofi', la tutela dei deboli, la difesa delle 'repubbliche' e dell'unità spirituale europea contro lo spirito di calcolo individualistico e di settaria divisione che il Nolano giudica caratteristico del protestantesimo. E' questa, sul piano etico-filosofico, la natura della contrapposizione tra 'riformazione' bruniana ed 'eresia' riformata.

Sul piano politico, lo Spaccio rivela una profonda sintonia piuttosto che con tendenze ireniche e 'politiques' - con le quali la posizione di Bruno non va confusa - con i programmi coltivati da Enrico III di Valois almeno per una parte del suo regno: ricerca della pace e dell'equilibrio interno e internazionale, evitando il coinvolgimento diretto della Spagna nelle guerre di religione; conservazione e accrescimento della fedeltà cattolica della corona francese, e contenimento sia dell'estremismo cattolico 'leghista' che di quello calvinista e 'politique' o del 'terzo partito' (che non è mai il 'partito del re', ma piuttosto l'unione dei grandi feudatari cattolici alleati con i grandi feudatari ugonotti); raggiungimento di un'intesa con Elisabetta d'Inghilterra e con la Scozia (restauratavi Maria Stuart), di un'alleanza tra moderatismo cattolico e moderatismo protestante in funzione sia anti-calvinista che anti-guisarda. Bruno ammette l'importanza della pur sempre troppo 'bellicosa' e 'boriosa' Spagna nel contenimento dell''eresia' riformata sul piano della politica internazionale, e auspica l'avvento di un nuovo Ercole che distrugga manu militari il 'peggio che Lerneo mostro', l'idra protestante. Un'invocazione che potrebbe trovare effettiva rispondenza, sul piano storico, con diversi plausibili scenari della situazione francese ed europea nell'anno 1584. Contro i partiti estremi (cattolico-guisardo e calvinista, ma anche 'politique'), tutti miranti, da versanti opposti, all'indebolimento della monarchia nazionale francese e all'internazionalizzazione del conflitto con il coinvolgimento diretto e contrapposto di Spagna e di Inghilterra, Bruno sembra favorire la causa di una 'pace combattuta', che tenga lontani dalla guerra inglesi e spagnoli, ma che non sia rinunciataria e cedevole verso gli ugonotti. Una pace in cui riescano vincitori i sovrani illuminati e assoluti, Enrico ed Elisabetta, entrambi minacciati, sebbene in modi e misure diverse, dal fanatismo religioso. L'esaltazione della monarchia assoluta, superiore alle divisioni confessionali come ad ogni altra forma di settarismo e di particolarismo, si intreccia nello Spaccio con il rinnovamento dei valori 'repubblicani' classici: eroismo civile e militare, abnegazione, amor di patria, competenza, capacità individuale, contrapposti sia ai valori mercantili e plebei colti nella società inglese (si pensi alle descrizioni polemiche contenute nella Cena de le Ceneri), sia ai valori della fortuna ereditaria e di lignaggio caratteristici della rimonta feudale che attenta all'unità e autorità della monarchia francese.

Il prototipo dei valori eroici è il nuovo Ercole, 'braccio armato' del Giove riformatore dello Spaccio. Ercole non è degno di restare fra gli dèi emendati e fra le nuove virtù del cielo investito dalla 'riformazione', ma per effetto stesso di quella 'riformazione', che assegna un ruolo sussidiario ma indispensabile alle virtù politico- militari rispetto a quelle contemplative ('fortezza' al servizio di 'sofia' e 'legge'), Ercole è sapientemente e realisticamente inviato sulla Terra, a combattere una guerra non di pure idee, ma politica e militare, contro gli 'asini del mondo' e la 'poltronesca setta del pedanti'.

Alla complessità dell'atteggiamento di Bruno fa riscontro la particolare fisionomia espressiva dello Spaccio. L'opera appare inizialmente - come sembrò a tanti lettori protestanti - un libello anti-romano, una satira del Papato, che il pubblico inglese dell'epoca era avvezzo a veder vituperato come 'Bestia' e 'Anticristo'. Ma l'adozione di luoghi comuni della polemica anti-papista non riduce l'ampiezza dell'invettiva bruniana, che coinvolge progressivamente l''asinità' protestante, sciogliendo crescenti furori anti- riformati. Il senso dello scritto, che i più antichi interpreti individuarono prima nella satira del Papato, poi nel dileggio di tutte le religioni rivelate, e che la critica più recente avverte nello 'spaccio' del giudeo-cristianesimo nella sua estrema forma protestante e nel recupero del solo aspetto 'civile' e 'pratico' del cattolicesimo, contrapposto alla svalutazione riformata delle buone opere, ha anche un possibile radicamento nell'attualità politico-religiosa dell'anno 1584: lo 'scisma' va combattuto in Francia; la guerra non è solo dottrinaria, ma si vince sui campi di battaglia spazzati dal nuovo Ercole. Il contrasto con l''asinità' cattolica non è dimenticato, ma solo rinviato. La 'riformazione' - dissolto il pericolo protestante e chiuse le guerre di religione - dovrà investire tutto il mondo cristiano, e procedere nella vita intellettuale come in quella sociale e religiosa.

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Delfina Giovannozzi

Fides e credulitas: due termini chiave della scienza magica in Cornelio Agrippa e GiordanoBruno

Presentazione dell'intervento

L'insieme di opuscoli di argomento magico (De magia, Theses de magia, De magia mathematica, De rerum principiis, Medicina lulliana, De vinculis in genere), redatti da Bruno alla fine degli anni '80 del Cinquecento e pubblicati per la prima volta nel vol. III dell'Edizione Nazionale degli Opera latine conscripta, documentano un crescente interesse nell'ultimo periodo dell'attività bruniana per problemi di tipo operativo; si tratta di un interesse certamente presente già nelle opere precedenti, ma limitato a rapidi accenni e brevi trattazioni. Solo in queste opere tarde, infatti, tematiche di carattere magico assumono nella riflessione bruniana un ruolo centrale e per certi versi esclusivo. Difficile stabilire cosa abbia spinto Bruno nell'ultimo periodo della sua attività e soprattutto contemporaneamente alla stesura di opere quali i poemi francofortesi, a concentrare la sua attenzione su questi argomenti; i testi magici sembrano rispondere, tuttavia, ad una precisa esigenza di carattere filosofico che, soprattutto nelle opere sulla magia naturale, sembra essere quella di inserire l'operazione magica nel più ampio contesto dell'intervento umano sulla natura. Non si tratta di un'operazione che ne trascende e sconvolge l'ordine, ma di un intervento teso a sfruttarne le più nascoste potenzialità, capace di schiudere l'infinita gamma delle sue risorse, intervenendo sui meccanismi che la governano. La magia rappresenta dunque un capitolo particolare della filosofia bruniana della natura, poiché in questo contesto l'azione magica non è che il momento estremo di un particolare procedere su di essa, reso possibile dalla concezione dell'universo come un tutto gerarchicamente organizzato e ovunque pervaso dall'anima del mondo, su cui è costruita l'intera filosofia bruniana.

I termini fides e credulitas esprimono in questi testi bruniani un nucleo tematico particolarmente rilevante poiché Bruno subordina al concetto relativo ad essi l'efficacia dell'azione magica, facendone così un punto di osservazione privilegiato per comprendere la sua concezione della prassi operativa. Si tenterà, quindi, un confronto tra l'uso di questi termini in Bruno e la loro ricorrenza nel De occulta philosophia di Cornelio Agrippa (Colonia 1533); questo testo rappresenta, infatti, la fonte principale di Bruno nella redazione degli opuscoli magici.

Nella formulazione del concetto di fides seu credulitas (come si avrà modo di vedere, in Bruno i due termini vengono considerati equivalenti e usati come sinonimi), Bruno sembra tuttavia derivare da Agrippa soltanto alcune tematiche, comunque ampiamente circolanti nella cultura contemporanea, come la teoria degli effetti terapeutici della fides negli interventi medici, e la dottrina dell'immaginazione psicosomatica e transitiva (in grado di produrre una vera e propria actio in distans). Egli tralascia, invece, uno degli aspetti su cui Agrippa insiste con forza nel libro terzo del De occulta philosophia (dedicato alla magia coerimonialis), quello cioè relativo alla fides dal punto di vista teologico, che nel testo di Agrippa implica un riferimento esplicito, anche se non esclusivo, alla "catholica religio". Bruno infatti svolge una trattazione esclusivamente naturalistica della dottrina della fede, considerandola il presupposto fondamentale per la produzione dei mirabilia naturae come pure dei miracoli di Cristo. Ad essa, nella sua accezione di credulitas, è subordinato il risultato di qualunque intervento, per cui Bruno può sostenere nelle Theses de magia che senza questa disposizione preliminare "neque naturalis neque rationalis, neque divinus operator aliquid producit" (Theses de magia, in Opera, III (1891), p. 489).

Tuttavia, definenendo la fides come "generalis effectus et actus cogitativae" (ibidem), Bruno connette strettamente il discorso sull'ars magica alla sua dottrina gnoseologica. I capitoli conclusivi del trattato De magia si occupano, infatti, di definire le condizioni che rendono efficace l'intervento magico sullo spiritus seu animus, da cui si origina il vinculum di esso. Queste condizioni consistono, in ultima analisi, in tecniche di manipolazione che agiscono sulle facoltà conoscitive dell'animo e prevedono la possibilità di falsificazione dei dati della conoscenza sensibile attraverso un intervento (ad opera di un uomo, ma anche di un demone) sulla phantasia, ossia sulla facoltà produttrice delle species internae. E' in questo contesto che Bruno riprende gli spunti polemici, già presenti in opere come il Sigillus e la Cabala, contro forme perverse di religiosità fondate su un turbamento volontario della phantasia.

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