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Gaetano Lettieri

La mente immagine. Da Origene ad Agostino

 

 

La relazione tratterà della mente come immagine di Dio nei principali teologi cristiani dell’età patristica: Origene ed Agostino, con qualche riferimento ai tre Padri Cappadoci, Basilio di Cesarea, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno. Evidentemente, nella tradizione cristiana la nozione di mente (nous, mens), come quella di interiorità, non possono prescindere dal rapporto con il medio- e il neo-platonismo, che trova in area alessandrina (a partire dall’ebreo Filone, attraverso gli gnostici Valentino e Basilide e i loro discepoli, sino ai cattolici Clemente ed Origene) il suo principale laboratorio. Qui, la rivelazione biblica dell’uomo creato ad immagine di Dio e storicamente chiamato in Cristo alla novità di un’intima, escatologica filialità, connessa con la categorie filosofiche greche di nous e di psyche, determina diverse, talvolta conflittuali soluzioni teologiche. In Origene, il nous non è solo organo del divino, ad esso ontologicamente congenere, ma viene pensato persino come spirituale corpo di Cristo eternamente creato ed amato, come logos creaturale sprofondato nel Logos creatore (dialettica mediazione tra alterità e identità, moto e quiete, libertà e grazia, contingenza e necessità), che, in quanto Sophia, contempla l’eterno scaturire del sistema delle verità dal Padre-Uno. La psyche, invece, è interpretata come intelligenza decaduta, traccia indebolita e alienata di quel mistico atto intellettuale preesistente – temporalmente obliato e nascosto, pure se disponibile alla libertà di ogni creatura, che con esso è sempre capace di ridentificarsi –, Logos nel quale tutte le creature torneranno, grazie alla rivelazione di Cristo (il Figlio eternamente fattosi anima e temporalmente incarnatosi in un corpo), ad essere logoi, noes escatologicamente riunificati. Con Agostino, respinto il mito platonico della preesistenza delle anime, il concetto di mens (rispetto al quale anima ed animus divengono praticamente sinonimi) si approfondisce nella dialettica tra eternizzante atto intellettuale, acceso dall’illuminazione del Verbo interiore, e temporalità, storicità del divenire della mens in se stessa, lapsa e quindi fratta, drammaticamente sospesa tra un movimento ormai naturale di alienazione e la ricerca di sé e di Dio, autonomamente sempre fallimentare. Mentre il nous origeniano è immagine del Logos, la mens agostiniana capace di rammemorazione di Dio è immagine dell’intera Trinità (ove comunque notevole risulta, in proposito, l’influenza del neoplatonismo porfiriano): non solo perché la sua identità spirituale è immagine della Memoria eterna di Dio, potenzialmente, inconsapevolmente sempre aperta sulla trascendente conoscenza di Dio-Verità, ma anche perché il dinamismo dell’autocoscienza si compie soltanto quando è guidato dallo Spiritus-Caritas, unica condizione di salvifica conversione dell’intentio della mens, atto temporale singolarmente mosso da un gratuito, indebito Atto eterno: la mens, quindi, si rammemora autenticamente di se stessa, si conosce e si ama soltanto quando si riconosce in trasparenza come dono dell’Altro, dunque quando è da Dio intimamente espropriata da se stessa.