di Emilio Sergio

L’Accademia delle Notti Vaticane fu un’istituzione nata a Roma ai tempi di Paolo III Farnese (1468-1549) e rifondata, nel 1560, sotto Pio IV (Giovan Angelo de’ Medici, 1499-1565, in carica dal 25 dicembre 1559 al 10 dicembre 1565), dal nipote Carlo Borromeo (1538-1584), a ridosso della sua elezione a cardinale (31 gennaio 1560). Il nome prese ispirazione dalle Notti Attiche di Aulo Gellio, che ad Atene erano frequentate dai migliori fra i letterati romani, occupati durante il giorno a svolgere altre mansioni. Le adunanze avvenivano nel Palazzo Pontificio. I membri dell’Accademia erano composti sia da autorità ecclesiastiche che da laici o chierici regolari, accomunati dalla finalità comune di discutere intorno ai temi della riforma dei costumi nella società civile e nella Chiesa attraverso la coltivazione delle virtù dell’etica cristiana e lo studio della retorica. L’Impresa dell’Accademia («un cervo morso da molte serpi che correva verso una chiara fonte d’acqua viva»), era accompagnata dal motto, Una salus. Fra i principali membri dell’Accademia si contano, oltre al Borromeo e al fratello Federico (†1563), Ugo Boncompagni (Gregorio XIII, 1501-1586), Guglielmo Sirleto (1514-1585), Francesco Alciati (1522-1580), Tolomeo Gallio (ca.1526-1607), futuro cardinale di Como (7 dicembre 1563), già secretarius intimus o domesticus di Pio IV, e segretario dello stesso Borromeo nella trattazione delle materie più delicate; Curzio Gonzaga (1530-1599), protetto di Ercole Gonzaga, uomo di fiducia di Ottavio Farnese e ospite di Ercole Gonzaga anche all’indomani della chiusura del conclave per l’elezione di Pio IV; Cesare Gonzaga (1536-1575) conte di Landriano di Guastalla (primogenito di Ferrante I Gonzaga e di Isabella di Capua), che nel 1560 sposò Isabella Borromeo (nipote di Pio IV); il cardinale Agostino Valier (1531-1606), vescovo di Verona; Sperone Speroni (1500-1588), professore di logica (1520-1523) e di filosofia (1525-1528) presso lo Studium patavino, membro dell’accademia fiorentina degli Infiammati, di cui divenne principe nel 1542, imponendo l’uso della lingua volgare; Giovanni Delfino (1545-1622) vescovo di Torcello; Carlo de’ Conti, Giovanni Francesco Bonomi (1536-1587), Guido Ferrero (1537-1585), Pietro Antonio da Lonate, il barone Paolo Sfondrato (†1587), Alessandro Simonetta, Silvio Antoniano (1534-1603), Giovannni Battista Amalteo (1525-1573, fratello di Girolamo, 1507-1574, professore di filosofia morale presso lo Studium di Padova).

Fu proprio durante il periodo di attività dell’Accademia che avvenne la famosa «conversione» di Carlo Borromeo, e la successiva decisione di farsi ordinare prete (17 luglio 1563), per poi farsi consacrare vescovo, il 7 dicembre dello stesso anno, nella ricorrenza di S. Ambrogio. Dell’attività pastorale che seguì alla sua consacrazione e alla sua elezione ad arcivescovo di Milano (12 maggio 1564), Michel De Certau ci ha consegnato un breve ma denso ritratto che vale la pena di ricordare: «Per tutta la vita i canones reformationis generalis di Trento ebbero per Carlo Borromeo il valore di una rivelazione decisiva. Egli assistette e collaborò alla produzione di questa immagine del vescovo, eroe mitico della riforma attesa dalla cristianità. Ma Borromeo era uomo d’azione: “huomo di frutto et non di fiore, de’ fatti et non di parole” a dire del cardinal Seripando. Voleva “applicare” e passò all’azione. Di Borromeo è difficilissimo scoprire il volto, celato dietro la funzione che egli esercitava e quindi il movimento di conversione che ve lo condusse. Ma questa riservatezza sembra la conversione stessa. Venendo dopo tanti Specchi del vescovo, genere letterario che faceva furore, ma confermandoli e universalizzandoli, i canoni di Trento produssero la “immagine” che Borromeo rese effettuale. Egli s’identificò con questa immagine, la nutrì con la sua vita, sapendo che il discorso passa nel reale a prezzo del sangue: sanguinis ministri, erano per lui i veri preti. Egli realizzò dunque l’immagine perdendovisi. Mise tutta la sua “passione” a riprodurla, a fare del suo corpo il sacramento del ritratto episcopale, ad essere il martire del modello, prima di divenirne a sua volta la rappresentazione agiografica. Una regola data ai preti dal concilio era: “se componere” (Concilium Tridentinum, viii, p. 965), conformarsi al ruolo, trasformarsi alla lettera. Questo movimento si ripeterà nella concezione che Borromeo ebbe della retorica: passare dal modello al volere, dal dire al fare. Che il “testo prenda corpo”, ecco il principio essenziale che ispirò non solo un’ars concionandi, ma un’esistenza. Fare avvenire ciò che è già detto, questa la spiritualità, meticolosa e accanita, dell’arcivescovo lentamente trasformato in quel ritratto prestigioso che a Roma si era già soddisfatti di avere alla fine dipinto. Nel momento in cui il testo si conclude felicemente e trionfa per lungo tempo, Borromeo inizia la sua opera. Prende questo testo alla lettera per scriverlo con il suo corpo e non per inventarne altri: io lo farò, io lo sarò. Egli scrisse al cardinale di Como [Tolomeo Gallio], il 4 dicembre 1563, tre giorni prima della sua consacrazione: “è tanto il desiderio mio che hormai s’attenda ad exequir poi che sarà confirmato questo santo concilio conforme al bisogno che ne ha la christianità tutta e non più a disputare” (H. Jedin, Carlo Borromeo, Roma, 1971, pp. 14 sgg.). Dopo il tempo dei teologi, grandi disputatori, che condussero per mano i padri conciliari, ecco il tempo dei pastori, che è quello dell’esecuzione» (M. De Certau, Borromeo, Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 20, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1977).

La fondazione dell’Accademia delle Notti Vaticane avvenne ufficialmente il 20 aprile 1562. E la durata delle adunanze accademiche durarono solo per breve tempo, fino al 1563, ufficialmente fino al 1564. Non c’è dubbio, tuttavia, che essa lasciò un segno indelebile nella cultura romana, anche in ragione dei rispettivi sviluppi che presero le carriere e le attività politiche e religiose dei rispettivi membri nei decenni successivi, in particolare di Carlo Borromeo.

Ogni membro si diede un appellativo, come conveniva ai poeti dell’Arcadia di Pomponio Leto, o in altre accademia d’Italia. E le materie trattate si ispiravano ai principi della filosofia, della letteratura, dell’etica e della teologia: «cum nova inducta in eos Congressus loquendi methodo egregie contulit, inquiens, habitam in vario humanae Literaturae genere differendi exercitationem per superiores annos, fuisse Academiae illius infantiam: Siquidem in eamdem cooptati erant, ex Gentilibus Philosophis, profanisque Scriptoribus sugebant ut parvuli lac, non escam; jam vero incoepisse illos solidis plenisque medullam et succo cibis enutriri, quos eis abunde Scripturae sacrae ubertas offerebat» (Noctes Vaticanae seu sermones habiti in Academia, A S. Carolo Borromeo, Romae in Palatio Vaticano Instituta […] Omnia nunc primum e MSS, Codicibis Bibliothecae Ambrosianae eruta Joseph Antonius Saxius Praefatione et notis illustravit, Mediolani, Ex typographia Bibliothecae Ambrosianae, apud Joseph Marellus, 1748, Praefatio, p. xxv). Citiamo ancora dalla Praefatio di Giuseppe Antonio Sassi:

«Ut autem aliqua de nobilissimi hujus Instituti methodo atque ordine proferamus: Quisquis in hunc Coetum adoptabatur, adscititium sibi nomen more Academico imponebat: Sancto Carolo Borromeo appellari placuit il Caos. […] Materies Sermonum primo desumpta est e praceptis Philosophiae, quae animos ad virtutem sapienti homine dignam conquirendam, sanosque mores instituendos excitat eruditque. Proponebantur etiam argumenta ad civilem aulicamque vitam spectantia: Omnia vero themata juxta Academica Leges ita concepta erant, ut in utramque partem agitari possent» (ivi, p. xxiii).

Scrive ancora il Sassi:

«alia in Noctibus Vaticanis argumenta pertractari, nisi quae deprompta ex Evangeliis forent; ac primo sententias illas in alternis Sermonibus explicanda statuit, quas de vera Beatitudine, ore proprio Christus Dominus pronunciaverat. Dicendi campum aperuit, qui nomen sibi indiderat il Pellegrino, et Academiae Princeps tunc erat (ignotus tamen nobis, cujus esset Familiae), atque exponere aggressus est Divinum illud axioma Beati pauperes spiritu. De secundo Beati mites, habuit qui appellabatur il Risoluto, isque erat Sylvius Antonianus, eo tempore a Secretis Sancti Caroli, postmodum Cardinalis. Tertium Beati qui lugent illustravit recitatam Oratione Socius alter incomperti nominis gentilitii, in Academia vero dictus l’Umile. Quartum locum occupavit S. Carolus, qui explicandum sumpsit alterum Domini effatum: Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam» (ivi, pp. xxiv-xxv).

Nel Catalogus eorum qui in Academiam noctium vaticanarum cooptabantur figura il seguente elenco di personalità, con le relative denominazioni:

«Sanctus Carolus Borromeus, S.R.E. Cardinalis: appelatus il Caos.
Paulus Sfondratus, Baro Vallis-Asinae: L’Obbligato.
Franciscus Gonzaga, S.R.E. Cardinalis: L’infiammato.
Caesar Gonzaga, Dux Arriani, postmodum S.R.E. Cardinalis: Lo Scontento.
Ludovicus Taberna, Comes Landriani, dein Laudensis Ecclesiae Episcopus: Il Costante.
Petrus Antonius Lunatus, postea Mediolani Senator: Il Trasformato.
Joannes Delphinus, Torcellanae primum, dein Brixiensis Ecclesiae Episcopus: Il Leale.
Alexander Simonetta, Utriusque Signaturae Referendarius: L’Ansioso.
Ptolomeus Gallius, S.R.E. Cardinalis, Sipontinae Ecclesiae Archiepiscopus: Il Segreto.
Guido Ferrerius, S.R.E. Cardinalis, Vercellensis Episcopus: Il Sereno.
Speronus Speronius: Il Nestore.
Sylvius Antonianus, postmodum S.R.E. Cardinalis: Il Risoluto.
Augustinus Valerius, dein S.R.E. Cardinalis, et Episcopus Veronensis: L’Obbediente».
(Noctes Vaticanae, cit., pp. xxvii-xxviii).

Segue l’elenco delle Orazioni, dei Sermoni e dei Ragionamenti che furono proclamati nell’Accademia:

«Convivium Noctium  Vaticanarum (Agostino Valier);
Beati pauperes spiritu: quoniam ipsorum est Regnum Coelorum (il Pellegrino, sulla prima Beatitudine);
Beati qui lugent: quoniam ipsi consolabuntur (l’Umile, sopra la terza Beatitudine);
Beati qui esuriunt, et sitiunt justitiam: quoniam ipsi saturabantur (il Caos, sulla quarta Beatitudine);
Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur (anonimo, sulla quinta Beatitudine);
Beati mundo corde: quoniam ipsi Deum videbunt (il Fedele, sopra la sesta Beatitudine);
Beati pacifici: quoniam Filii Dei vocabuntur (anonimo, sopra la settima Beatitudine);
Contro la Lussuria (il Caos);
De remittendis injuriis. In Evangel. Matth. cap. xviii (Sermo habitus ab Academico, dicto il Risoluto);
Sopra l’astinenza dal mangiar carni (il Risoluto);
Contro il peccato dell’Accidia (il Risoluto);
De Caritate (Sermo habitus ab academico nuncupato il Caos);
Dell’amor di se stesso (Ragionamento primo di Sperone Speroni);
Dell’amor di se stesso (Ragionamento secondo di Sperone Speroni);
Sopra le Sentenze: Ne quid nimis, e Nosce te ipsum (Ragionamento di Sperone Speroni)» (ivi, pagina non numerata).

L’Accademia ebbe un’influsso non trascurabile per la successiva impronta scientifico-culturale che acquisterà l’Accademia Telesiana, soprattutto quando questa passò, dopo la morte di Bernardino Telesio (1588), sotto la guida di Sertorio Quattromani (1541-1603). Quest’ultimo non fu un membro dell’Accademia Vaticana, ma frequentò assiduamente i milieux religiosi e politico-letterari di Curzio Gonzaga, di Rinaldo Corso (1525-ca.1581), di Francesco Benci (1542-1594), di Guglielmo Sirleto (1514-1585), di Ippolito Capilupi (1511-1580); e, nei suoi anni di soggiorno a Roma, frequentò l’ambiente della corte papale e della Biblioteca Vaticana, attingendo spunti, idee e suggestioni che diventarono determinanti per la direzione che in seguito assunse l’Accademia Cosentina, attraverso la sua produzione critico-letteraria, provata dal largo uso, in poesia come nella prosa, della «favella toscana». Beninteso, il modello etico, religioso e culturale filtrato attraverso l’influsso del Borromeo e del suo seguito, interagì per così dire ‘ecletticamente’ con l’altro profilo letterario sul quale il Quattromani andava elaborando già da tempo, mutuato dal pensiero di Giovanni Della Casa, del quale il Montano adottò le forme espressive, nonché il messaggio, sotteso, di un elitarismo socio-culturale, tipico di una parte rilevante dei circoli letterari del suo tempo.

Anche Curzio Gonzaga, il quale, come si è detto, restò ospite di Ercole Gonzaga anche dopo l’elezione di Pio IV, chiamato nel giugno del 1561dal Borromeo a far parte dell’Accademia, subì sempre più la suggestione dell’ambiente colto e raffinato della corte papale e degli ambienti cosmopoliti della città, partecipando attivamente alle sedute dell’Istituzione Vaticana, soprattutto nel primo periodo di vita; e, nella notte tra il 6 e il 7 aprile 1563, vi recitò un’orazione in lode della lingua volgare (Roma, Biblioteca Casanatense, Ms. 4280), che ebbe una certa eco negli ambienti vicini all’Accademia, essendosi il Gonzaga già distinto per la sua fama di poeta in lingua volgare. Come ricorda Roberta Monica Ridolfi, «lo scritto si inserisce nelle controversie cinquecentesche sul latino e il volgare e prende spunto dalla deliberazione degli accademici, contrastata dal Gonzaga, di tenere i loro discorsi in latino. A questa lingua morta e inservibile perché carente anche lessicalmente il Gonzaga oppone l’italiano, mostrandone la ricchezza lessicale, suscettibile, in quanto lingua viva, di sempre nuovi ampliamenti nel vocabolario, intraducibili, a suo avviso, in latino» (R.M. Ridolfi, Gonzaga, Curzio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 57, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002). Se osserviamo nei loro esiti le Orazioni, i Sermoni e i Ragionamenti che comparvero nell’edizione del 1748 dei testi manoscritti dei discorsi pronunciati nelle Noctes Vaticanae, c’è da riscontrare che la tesi del Gonzaga incontrò il favore della maggior parte dei membri dell’Accademia. Nel 1585, molti decenni più tardi, Curzio Gonzaga raccolse una silloge dei suoi componimenti in un libretto di Rime (Rime dell’illustrissimo Sig. Curtio Gonzaga, in Vicenza, nella Stamperia nuova, 1585; ried. Venetia, All’insegna del Leone, eredi di Curzio Troiano Navò, 1591). Già nel 1582, egli si era reso autore di un poema, il Fidamante (Il fido amante, Mantova, G. Ruffinello; ried. Venetia, All’insegna del Leone, 1591), nel quale godette della collaborazione di una sua intima corrispondente, la poetessa Maddalena Campiglia (ca. 1550-1595).

L’Accademia delle Notti Vaticane prese vita in un momento cruciale per la Storia della Chiesa, quella cioè che vide la riapertura e conclusione delle ultime fasi del Concilio tridentino (18 gennaio 1562 – 3 dicembre 1563). E, tra i temi trattati, non pochi si spingono verso l’esigenza di un profondo rinnovamento della dottrina della Chiesa da un punto di vista pastorale e di una relazione sempre più stretta con le espressioni più alte della letteratura italiana in linga volgare, dal Petrarca al Tasso.

Nella sua Introduzione alla raccolta di Scritti di Sertorio Quattromani, Filiberto Walter Lupi tenta di riassumere in una densa pagina le relazioni, dirette e indirette, intercorse tra i promotori e fondatori dell’Accademia Vaticana e l’istituzione cosentina, ricordando innanzitutto come nel corso dei suoi anni di maggiore attività, cioè il triennio 1562-1564, il sodalizio presieduto dal Borromeo si trasformò «da istituzione letteraria a centro di meditazione e di pietà, in armonia con le deliberazioni del Concilio di Trento. Il gruppo che si raccoglie intorno al cardinale Borromeo è consapevole di dover realizzare i principi estetici dell’umanesimo cristiano alla fondazione di una cultura cattolica che arrivi a un pubblico differenziato – colti e ignoranti nella medesima situazione di “popolo di Dio” – utilizzando i frutti dell’ingegno a maggior gloria del sommo Artefice, senza indulgere ad “amoena quaedam, quae liberalis joci aliquid ac leporis admixtum haberent”» [Noctes Vaticanae, cit., pp. xxiii-xxiv]. Un certo numero di eventi, nel panorama della cultura romana di quegli anni, come l’arrivo di Paolo Manuzio con l’incarico di aprire una tipografia che riproponga gli autori classici ed ecclesiastici in una veste che chiarisse dove abitava la vera eredità di Erasmo, strappando il privilegio della “critica agli oltremondani” o come la stessa pubblicazione del De natura iuxta propria principia [1565] di Bernardino Telesio per i tipi di Antonio Blado, un altro editore che si era distinto per scelte vicine al “partito della riforma” in seno alla Chiesa, sono episodi da riportare allo stesso progetto, che non manca di coinvolgere i nuovi ordini religiosi, oratoriani e gesuiti, della spiritualità dei quali Carlo Borromeo è influenzato nella sua decisione di prendere i voti, consacrandosi definitivamente alla vita ecclesiastica. E quando la sua attività nella diocesi di Milano sarà ritenuta la prova di una santa ispirazione che spinge al generale rinnovamento della vita ecclesiastica, il carisma di Borromeo non mancherà di arrivare fino alla società cosentina con la ristampa dei Ricordi [C. Borromeo, Ricordi per il vivere cristiano, Cosenza, Leonardo Angrisano, 1595], l’efficace opuscolo rivolto ad “ogni stato di persone”, che la Compagnia di Gesù [che va insediandosi in Cosenza proprio in quegli anni] utilizza per (ri)evangelizzare quelle nuove Indie che sono i territori periferici del Regno di Napoli. Gli stessi ambienti accolgono le prime prove poetiche di Quattromani e dei suoi amici cosentini, come dimostrano la presenza di un sonetto al cardinale Borromeo nel Cod. 165 di Bologna (“Signor dal cui benigno et chiaro ingegno”, c. 68r) e la cura con cui [Giovan Paolo] d’Aquino compone i suoi versi a Curzio Gonzaga, disseminati di citazioni dalle Rime dell’autore mantovano» (F.W. Lupi, Introduzione a S. Quattromani, Scritti, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1999, pp. xx-xxi).

Il «Cod. 165 di Bologna» a cui fa riferimento il Lupi consiste in un manoscritto contenente, come recita il frontespizio, Poesie antiche di diversi per la maggior parte bolognesi del Secolo XV, con aggiunta di alcuni de’ Secoli XVI e XVII. Nella silloge di autori calabresi figurano versi di Sertorio Quattromani, di Giovan Paolo d’Aquino (cugino del Quattromani), di Marcello Ferrao, di Giovan Battista Ardoino, di Galeazzo di Tarsia e del fratello Tiberio. Sul Cod. 165, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, cfr. A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, vol. xv, Forlì, Bordandini, 1909, pp. 166-175.

Tra i temi principali discussi nell’Accademia vi furono inizialmente i classici di Cicerone, Seneca, Epitteto, Tito Livio, Lucrezio, Virgilio (Georgiche), Varrone (De re rustica), Aristotele (Retorica). Progressivamente, influenzati anche dalla ripresa dei lavori conciliari (1562-1563), l’Accademia si dedicò a soggetti più sacri, scritturali e patristici, orientati verso il riformismo religioso che aveva già contraddistinto l’attività di Borromeo e di molti altri prelati. Come ha scritto Michel De Certau, «Una tradizione umanistica del Rinascimento, venerata come una reliquia, si rivolse verso il riformismo religioso». Sul ruolo specifico assunto dalla retorica nel progetto di riforma del Borromeo, ricordo ancora un passaggio di De Certeau: «Data l’importanza ulteriore della retorica di Borromeo se ne possono rilevare alcuni tratti che disegnano anche, in una relazione stretta tra l’oratio pubblica e l’oratio segreta, tra l’atto oratorio e l’orazione, la sua spiritualità pastorale. Questa retorica rinvia in primo luogo a un problema politico del quale i trattati contemporanei sono pieni: mentre i discorsi tecnici o letterari si sviluppano nel campo chiuso di una élite, all’interno di un ordine sociale stabile, la retorica intrattiene un rapporto necessario con il linguaggio comune e ritorna nei momenti d’instabilità politica, quando occorre restaurare con il popolo dei contratti sostitutivi a quelli che si dissolvono. Con le volontà che esso commuove, seduce o istruisce, il discorso “persuasivo” deve ristabilire un ordine che dipende ormai dalla loro adesione. Esso si inscrive in una politica da e per la parola che è fondamentale nella pastorale postridentina e della quale i due libri di Giovanni Botero, discepolo di Borromeo, esplicitano i due poli (Ragione di Stato, 1589; De praedicatore Verbi Dei, 1585). Si tratta, tra le élites e il popolo lentamente separati da due secoli, di uscire dalla specializzazione dialettica per instaurare dei contratti di linguaggio tra “cattolici” (questa parola dappertutto sostituisce quella di “cristiano”): lo scopo della predicazione è dunque di produrre l’istituzione. La retorica è istituzionale e istituzionalizzatrice, proprio come l’istituzione è retorizzante. Per ciò la predicazione trasforma il rapporto con la verità, è una arte del “relativo”, cioè di stabilire la relazione, legata all’occasione (alla natura del pubblico, alle circostanze, ecc.). A una scienza degli affari e una scienza delle situazioni: gli uni e gli altri non conoscono verità definitive ma il sottile adeguamento della intelligenza a dei “casi” concreti; è una tattica della manipolazione nella misura in cui essa confronta senza sosta una tecnica del far credere e dell’affectus (un “commuovere” che è “muovere”) alle volontà dei destinatari. Questa forza di convincere, stabilendo una “società”, prova anche la sua verità per e nella sua operazione stessa o, come si dice, con “l’azione” (oratoria)» (M. De Certau, Borromeo, Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 20, 1977).

Il Borromeo leggerà sempre e dappertutto, portandosi appresso casse di libri nel corso delle visite pastorali, accentuando questa evoluzione verso una cultura destinata all’utilizzazione pastorale: i Padri della Chiesa (soprattutto Ambrogio e Cipriano) e gli esegeti e commentatori della Scrittura. La lettura di alcuni libri doveva servire l’azione programmata dal Concilio. Una delle figure a lui più vicine nel periodo trascorso ad amministrare la diocesi di Milano fu il sopra citato Tolomeo Gallio, figura peraltro più volte menzionata nei carteggi e nelle lettere di Bernardino Telesio (cfr. E. Sergio, Bernardino Telesio: una biografia, Napoli, Guida, 2013, pp. 52-53, 56-57 e 61).

L’istituzione terminò formalmente con l’elezione di Carlo Borromeo ad arcivescovo di Milano (12 maggio 1564), anche se di fatto le attività proseguirono ancora per qualche tempo (almeno fino al trasferimento di Borromeo a Milano, nel settembre del 1565), soprattutto nella circolazione e discussione dei frutti di quelle adunanze tenute nel corso del suo denso ma breve periodo di attività.

Bibliografia

Fonti e studi

S. Antoniano, Dell’educazione cristiana e politica de’ figliuoli, libri tre, scritti ad istanza di S. Carlo Borromeo, Verona, S. Dalle Donne e G. Stringari, 1584, ried. Imola, Ignazio Galeati, 1853.

L. Berra, L’Accademia delle Notti Vaticane fondata da San Carlo Borromeo: con tre appendici di documenti inediti, Roma, Max Bretschneider, 1915.

A. Borromeo, Gregorio XIII (Ugo Boncompagni), in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 59, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2003.

C. Borromeo, Instructiones praedicationis verbi Dei ex concilii, Mediolani, apud Paulum Gottardum, et Pacificum Pontios fratres, 1581.

C. Borromeo, Pastorum instructiones, ad concionandum, confessionisque et eucharistiae sacramenta ministrandum utilissimae, Antverpiae, ex officina Christophori Plantini, 1586.

C. Borromeo, Ricordi per il vivere cristiano, Cosenza, Leonardo Angrisano, 1595 (la prima edizione, Del vivere christiano, è contenuta in Fulvio Androtio, Opere spirituali, Napoli, appresso Gio. Battista Cappelli, 1581).

M. Bourne, Gonzaga, Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 57, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002.

G. Brunelli, Gallio (Galli), Tolomeo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 51, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1998.

A. Buiatti, Amalteo, Giovanni Battista, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960.

M. De Certau, Borromeo, Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 20, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1977.

C. Gonzaga, Rime dell’illustrissimo Sig. Curtio Gonzaga, in Vicenza, nella Stamperia nova, 1585; ried. Venetia, eredi di Curzio Troiano Navò, 1591 (un’edizione parziale delle Rime, edite e inedite, è stata curata di recente da Giovanna Barbero, Roma, Verso l’arte, 1998).

E. Fasano Guarini, Aldobrandini, Cinzio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960.

H. Jedin, Carlo Borromeo, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1971.

M. Losito, Villa pia e l’Accademia delle Noctes Vaticanae. La cultura umanistica di San Carlo Borromeo e Regesto documentario, in La casina di Pio IV in Vaticano, a cura di D. Borghese, Torino, Allemandi, 2010, pp. 96-106 e 195-224.

F. W. Lupi, Alle origini della Accademia Telesiana, Cosenza, Brenner, 2011.

C. Mutini, Campiglia, Maddalena, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 17, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1974.

Noctes Vaticanae seu sermones habiti in Academia, A S. Carolo Borromeo, Romae in Palatio Vaticano Instituta. Praemittitur opusculum Augustini Valerii inscriptum convivium noctium vaticanorum. Omnia nunc primum e MSS, Codicibis Bibliothecae Ambrosianae eruta Joseph Antonius Saxius Praefatione et notis illustravit, Mediolani, Ex Typographia Bibliothecae Ambrosianae, apud Joseph Marellus, 1748.

P. Pecchiai, Roma nel Cinquecento, Bologna, Cappelli, 1948.

P. Prodi, Antoniano, Silvio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960.

C. K. Pullapilly, Agostino Valier and the Conceptual Basis of the Catholic Reformation, «The Harvard Theological Review», 85, 1992, 3, pp. 307-333.

S. Quattromani, Scritti, a cura di F.W. Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1999.

N. Raponi, Alciati, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960.

R. M. Ridolfi, Gonzaga, Curzio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 57, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002.

G. Rill, Bonomi, Giovanni Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 12, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1971.

G. Romei, Corso, Rinaldo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 30, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1984.

D. Rosselli, Ferrero, Guido, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 47, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1997.

A. Sala, Biografia di San Carlo Borromeo, edita dal canonico Aristide Sala, con corredo di dissertazioni e note illustrative, Milano, Tipografia e Libreria Arcivescovile, Ditta Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1858.

A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, 3 voll., Milano, Boniardi-Pogliani, 1857.

E. Sergio, Bernardino Telesio: una biografia, Napoli, Guida, 2013.

A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, vol. xv, Bologna (R. Biblioteca Universitaria), Forlì, Bordandini, 1909, rist. xerogr. Firenze, Olschki, 1968.

A. Valier, Convivium Noctium Vaticanarum, in Noctes Vaticanae seu sermones habiti in Academia, A S. Carolo Borromeo, Romae in Palatio Vaticano instituta, Ex Typographia Bibliothecae Ambrosianae, apud Joseph Marellus, 1748, pp. 1-23.