Antonella de Vinci, Geografia campanelliana calabrese (2010), scheda 6

Cosenza

Nell’anno accademico 1587-1588, il giovane domenicano di Stilo giunge al convento di Cosenza – più di dodici ore di aspro cammino, per ca. 64 km, da Nicastro – per proseguire i suoi studi teologici, ed è già percorso dalla febbre del ripudio della filosofia sterile e falsa che ha rinvenuto nelle appassionate e diligentissime disamine dei testi dell’aristotelismo. Sicuramente conosce già la filosofia telesiana1, che entusiasticamente si accorda con le sue personali intuizioni e speculazioni, ma non riesce a conoscere di persona Bernardino Telesio, che muore nell’ottobre del 1588.
Cosenza sorge alla confluenza del fiume Crati con il Busento; ricordata da Strabone come città dei Bruzi, accolse i vantaggi e l’influenza della civiltà magno-greca ed in seguito, come tante altre città, fu coinvolta nelle vicende delle guerre puniche, come alleata di Cartagine. Acquistò una certa importanza con la costruzione, nel II secolo a.C., della via Popilia che collegava Capua con Reggio. Le dominazioni di Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, che si succedettero nell’Italia meridionale, coinvolsero anche Cosenza che però riuscì, sempre con fierezza, ad evitare soggezioni feudali. Fu città amata da Federico II, che vi fece erigere un vasto castello su uno dei colli – il Pancrazio, che domina i tortuosi quartieri medioevali – che coronano la città. Il suo carattere demaniale fu confermato, nel secolo XV, da Alfonso I d’Aragona, che le concesse ampi privilegi. Il declino della città iniziò con l’avvento del dominio spagnolo, ma tra i secoli XV e XVI la città conobbe un notevole fervore culturale: qui vennero impiantate alcune fra le prime stamperie del meridione. Dopo Napoli, Cosenza fu la seconda città ad avere una propria cartografia; nel 1511 nacque l’Accademia Cosentina fondata da Aulo Giano Parrasio e portata al massimo splendore da Telesio, definito da Bacone«primo degli uomini nuovi». Nonostante il dominio mortificante degli Spagnoli, Cosenza divenne uno dei centri più vivi della cultura meridionale. A San Domenico – complesso sacro sorto oltre il fiume Busento, dove si faceva sentire il pessimo clima umido e caldo nei mesi estivi che costringeva all’invio in altre case conventuali dall’aria più salubre i giovani studenti religiosi – era intitolata la chiesa cui era annesso il convento con lo Studio Generale dove il giovane Campanella si recò per frequentare il suo secondo anno di studi teologici. Nel corso dell’anno di studio a Cosenza Campanella non prese parte alle intricate e spregiudicate lotte di potere all’interno della comunità domenicana, ma partecipò al clima culturale vivace della città. A fine anno venne trasferito ad Altomonte per proseguire gli studi.


1 In una lettera del 1636 a Peiresc, Campanella rammenterà come Francesco Sopravia, medico di Seminara, città della Calabria meridionale,«fiorì nel tempo del Telesio e leggeva con meraviglia a tutti l’opinioni di Leucippo e Democrito, quando io ero di sedici anni», appena prima di recarsi, dunque, a Nicastro. Cfr. T. Campanella. Lettere 1595-1638, a cura di G. Ernst, Pisa-Roma 2000, p. 116.