Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 67

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di luminari, li quatrati, sestili et altri aspetti, e le pioggie,
venti, tempeste, guerre , carestie, e mutamenti in terra, in
mare et in aria con tanta gran sagacità. Gran segno che a noi
appartenga il cielo, e che siamo simili a quelle felici intelligenze
che l’habitano.
Ma più stupendo è che, quando Dio muta qualche cosa in
cielo, subito l’huomo la nota, e fa nove tavole di corsi celesti,
d’elevationi, depressioni, stationi, retrocessioni, velocitati, e
delle regolarità et irregolarità loro; delli apogei mutabili, delle
figure confuse, e scorrenti punti cardinali, et altre sì fatte
maraviglie, che riescono a capello secondo il conto che fa il
saggio matematico. E chi non esclameria in laude dell’animo
humano vedendo tanta sagacità divina?
Quando poi misura dalla paralasse de la luna la sua lontananza
e ’l diametro de la terra, e poi nell’eclissi ancora la quantità
del sole e della luna e della terra, e di ogni distanza sapendo
un poco argomenta al tutto, ben dimostra che divinità
sta nella sua intelligenza. Hor qual belva sa far queste
cose o una minima? Almen giocare a scacchi, o misurare un
piano?
Vero è che gl’animali fanno quanto all’uso loro si ricerca
mirabilmente, l’aragna la rete, l’api le celle, gl’ucelli il nido, et
han Republica e religione anche, come gl’elefanti: ma tutte
queste cose fa l’huomo assai meglio, e tante più che non si
può dire se non Dio rispetto a loro.
Mira le reti che fa a prender ucelli, e li lavori mirabili de le
donne, che contendono non col ragno, ma con la natura, e le
celle di fabricatori, e tanti lavori d’altri artefici, chi ognun li sa.
Ma l’huomo ingrato a Dio è tanto cieco, che si stima simile alle
belve, e dice che non ha animo più divino né più durabile.
Dunque ha torto di discredere che l’anima sua speri il medesimo.

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