Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 78

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ricordo e per esecutione della sua giustitia, e mo credo che nel
centro stan li diavoli, gravati dal pondo terreno sotto lo scuro:
perché l’intelletti sciolti han simpatia con la luce, e di quella
si dilettano in cielo; e che per punirli era giustitia accertata
mandarli allo scuro, e sotto il peso dal legiero, e nel fumo
dalla purità, e nel giaccio dal calor vivo. E credere che l’anime
che Dio manda sopra la faccia de la terra come siamo
noi, che ricevemo carcere portatile dal carcere comune, e tenemo
solo dui forami aperti trasparenti, e tutto il resto è opaco,
per qualche legiera colpa siamo dannati alli corpi (sottomettendomi
però sempre al giudicio de la chatolica e santissima
chiesa etc.), poiché partecipamo di notte e di giorno, di
luce e di tenebra, d’allegrezza e di dolore, di male e di bene, e
che in cielo solo ci è bene, e sotto nel centro solo male, e qui
al mezo l’uno e l’altro.
Et in vero io non posso imaginarmi come Dio infonde una
bella anima al corpo grosso et oscuro, dove s’imbratta di più,
senza causa, e molto mi accosto ad Origene et a Platone in
questo, e quando miro alla bellezza celeste, e che io sto serrato
in questa bruttezza mi doglio. E mo conosco che la morte sia
un uscir di prigione e di sepoltura, et assai laudo Trismegisto,
che chiamò il corpo «morte viva, sepolcro portatile, vestimento
d’ignoranza e di pravità», e san Paulo carcer di morte. Et
Euripide disse che li vivi erano li morti, e non li morti.
E chi ben mira, così è.
Rispose la sacrata intelligenza, che non era necessario che
l’anima havesse peccato inanti in cielo, come Origene dice, o

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