Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 300

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dal freddo esterno viene indurato, il che non avviene
all’altre pietre pretiose, se non forse a vicenda l’uno all’altro
contrario agendo l’indurassero. Le pietre dunque della terza
consorteria sono generate da i medesimi liquori, dal caldo o
freddo o da ambidue indurati; ma diventano rossi o verdi
o gialli, perché qualche liquore di colore consperso vien
misto con loro. Et spesso un poco di negrezza affusa nel
color bianco in più o meno quantità fa di sé et
del liquor bianco colori più o manco lontani dalla
bianchezza et negrezza, come dicemmo nell’iride. Però
si vede che un poco di vino nero per la sua grossezza materiale,
sendo la negrezza sua faccia, ammacchia di sé un vaso
di vin bianco; et secondo ch'egli è più o manco nero, et più
et manco se ne mette, più et manco imbrunisce il bianco
et a più colori lo riduce. Ogni nero sendo grosso, dal bianco
è penetrato et sciolto: onde esso bianco, ch'era sottile, ne
rimane ammantato come il dolce dal salso. Però si vede
alle volte rubino mezzo bianco et mezzo rosso, perché il
liquor bianco non fu tutto ammantato dal color rosso; gli
resta però la trasparenza, perché il liquor rosso
o altro che si mischia non è del tutto opaco, et essendo
rarefatto dal bianco perde qualche poco d'opacità ch'egli
havesse. La seconda maniera di pietre si fa di liquori bianchi

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