Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 305

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veggiamo che l’argento ha le parti dello stagno
in sé, ma però meglio indurate per la partenza del più
sottile, come s'indura lo stagno spesso liquefatto, ma
quel che resta è caldo, et ha il sottile alquanto misto
con la materia uniformemente rassodata, et però è bianco
et quasi lucido; nondimeno tinge di nero per la materia,
che in tutti gli enti è nera. Ma più tingono i metalli,
perché son più flessibili et communicabili. Non tinge
l’argento di bianco una carta, perché un bianco non age
in un bianco suo simile, et communicandosi si confondono
et non si scerne; ma nella pietra paragone, ch'è
negra, si scerne il bianco, come dell’oro il giallo, ma
non il nero loro, per la confusione dell’altro negro.
Sendo l’osso nero fatto di molto opaco et di poco trasparente,
le sue parti insieme unite mostrano negrezza,
ma raschiate le sue minutezze mostrano bianchezza,
perché dalla luce del giorno aiutata la loro penetrabile
superficie ugualmente bianchezza dimostra, cioè la luce
in essi riflessa con il bianco natio, che prima col tutto
mista ov'era più il nero non appariva. Il medesimo

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