Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 322

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s'era involto, et uscito sù comincia in pianta a mutarsi;
e nel principio si nutrica della propria polpa, la qual s'era
putrefatta a canto, come di cosa più simile et atta alla sua
tenerezza, ché a quest'uso anch'ella serve; et poi dalla
terra, disposta per tal putrefattione a farsi liquore simile al
suo, mediante la virtù solare tira sugge si nutrica et cresce.
Et sì come egli operava nella sua madre, facendo
foglie e fiori et frondi e tronchi et scorze, quelle nutrendo,
così opera in convertir la propria mole et la terra nell’esser
pianta, perché mantiene l’Idea et somiglianza della sua
genitrice che dall’Idea del primo Senno hebbe origine, e così
impara a fare et ad essere nel modo proprio et generare
simili a sé, come la madre feo per commandamento et consiglio
divino, seminator della natura, arte interna delle cose.
Il buon cittarista non si consiglia di battere o come ha
da batter le corde sonando ad una ad una, perché questo
consiglio prese quando imparava, ma subito batte con
scienza senza nuova consideratione, propria de gl’ignoranti
principianti. Così la natura - arte divina -
non fa consigli nuovi in produrre una pianta dall’altra
et distinguere le parti et figure loro, perché non è principiante,
ma imparò bene dal non errante Senno ad esseguire.
Se dentro il tronco fosse arte di far nave, <l’albero crescerebbe
in forma di nave>: ma ha quella di far pianta,

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