Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 358

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cibbo, fece un canaletto dalla milza al ventricolo, per dove
quando è voto viene a lui un liquore malinconico et amaro,
dal quale sentendosi mordere il ventre si stringe et fa male
a sé, onde desidera empirsi: tanto più che, mancando il
sangue alle vene, succhiano esse dal ventricolo et più lo
stringono. Et questo senso cagiona l’appetito et si chiama
fame: la quale è patimento di constrittione et desiderio
di cose sode che empiono, et calde per lo più che dilatino.
Et quando è pieno il ventre, corre a lui tanta copia di spiriti
quanto basta a riscaldare il cibo artificiosamente; ma correndo
tutti per cibarsi, viene egli mosso, riscaldato et seccato
per la nuova accensione che si fa del cibo. Perciò
non parendo allo spirito bene buttarlo fuori, poiché da quello
si vede accrescere et giovare, desidera smorzar quel caldo,
et qualche humore a poter liquefare il cibo che si comincia
ad indurare, et allettarlo et cuocerlo bene, perché l’humido
riceve facilmente il calore et lo porta per dentro la parte
solida del cibo et lo macera: questo desiderio si dice sete.
Però con acqua o vino o altro liquore satia tal brama d'humido
et levasi l’ardore del caldo, et lo fa più copioso. Onde
meglio si cuoce il cibo et si trasporta incorporato col medesìmo
liquore più bellamente, per la lubrichezza che dal
poto e dal cibo nasce distendendosi. La bocca

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