Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 374

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porta seco la sua sostanza, però a tutte le vivande sta bene
il sale, ché egli con la sua caldezza assottiglia e disfà la
lor parte grossa et velenosa, et scalda ogni particella et per
conseguenza l’assapora. Da tutte le ceneri se ne
cava il sale per forza del fuoco, e dalle terre abruciate.
Anchora vi sono altri sapori infiniti: ma questi sono li più
conosciuti, et si disgradano in più et manco salso, acido,
dolce, etc. Et ogni spetie di cosa ha il sapor suo, ottimo
nuntio dell’essenza e necessario in medicina. Et la maggiore
conventione o contrarietà che hanno le cose è annuntiata
dalla somiglianza e differenza de i sapori, oggetti
del gusto, tatto più esquisito de gli altri. Sono dunque
i sapori attioni del calore natio, intranti con la propria
mole et immutanti non solo la facoltà, ma la dispositione
dello spirito, che nelli nervicoli della lingua - suo sensorio
et organo - discerne. Et però le cose molto fredde
et molto calde sapor non hanno, ché il calor grande et il
freddo grande cuopre l’attione del caldo temperato nella
materia saporosa et la previene, e tramuta le forze dello
spirito innanti della dispositione: onde il vino agghiacciato
et i maccheroni caldi assai non manifestano sapore alla
bocca. Però ancho se non si frange il secco cibo non manifesta
il suo sapore, peroché non può penetrare il grasso

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