Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 400

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b. Son li nervi ottici incrocicchiati perché una cosa non paia
due. Il che nega Vesalio contra Galeno, dicendo haver visto in
natomia una che l’haveva disgiunti e pur di una cosa non ne vedea
due. Ma io quando miro una cosa con li occhi scommossi, cioè
un occhio alzando et un altro calando, la veggio doppia, perché in
diversi siti la guardo. Però è vero che io e tu non vedemo la stessa
luce, e che gli occhi ponno vedere la cosa doppia, perché
non mirano allo stesso sito della cosa. Onde dico i nervi visorij
incrociarsi perché s'accompagnino unitamente, in modo che li
occhi non possano agevolmente a diversi siti guardare e raddoppiar
la vista, senza pro', e con danno della scienza e del vero.
c. La luce è per sé visibile et è causa che i colori si veggano;
dunque essa è l’oggetto della vista e non il colore, come Aristotele
sparla, non essendo egli per sé visibile.
d. Si esclude l’opinione di Platone e dei Matematici che
dicono uscir li rai dall’occhi per far la vista, e di Galeno che dice
uscir i spiriti, e di Aristotele che dice venir all’occhi la spezie intenzionale
o forma delle cose, e che la luce solo serve per attuare e
disporre l’aere a ricever questa forma. Ma egli stesso manca,
perché non insegna che è quella virtù che manda a noi la forma
della pietra - poiché per lui non è la luce -, né come la pietra
mandi continuamente questi simulacri, e chi ne spoglia la luce di
quelli, né che sono, né come si fanno. Meglio disse Democrito che
son gli atomi che eshalano con tal figurazione, perché rende qualche
causa, ma vana, perché la vista diminuirìa la superficie
delle cose, et il pomo vedendosi troppo perderìa la scorza, et i venti
scompigliarìano gli atomi sì che non si vederebbe. Però altri Peripatetici

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