Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 405

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[DISCORSO DECIMOSECONDO]
Dell’udito.
Perché non basta l’occhio se non per le cose che
mandano dritta luce a lui vedere, et non per quel che
vien dietro all’animale né altronde, et quando è buio nulla
vede, perciò alla notitia delle cose è mestiere fabricare altre
vie da sentire. Talché disse <il Senno>: «l’aere è tanto
mobile, che d'ogni cosa è sparso in tondo: dunque movendosi
le cose et percotendo l’aere, verrà questo spinto sino
all’animale. Si facciano dunque organi alle tempie, che
ricevano nelle tempie et portino il suo suono allo spirito
della testa dentro stante.» Et ecco la testa forarsi nelle
tempie, et mandar del tenero dell’osso una cartilagine
arida presso che osso, in alcuni canali et ravvolgimenti
distinta, et sparsa fuori nell’aria verso l’esterno, et
raccolta in concavità nel principio: acciò potesse agevolmente
esser mossa, et cogliere a sé il suono subito, et per
quelli meati introdurlo dentro al centro delli ravvolgimenti,
dove sta un timpanello pieno di spirito, et sopra lui cala
una carnicella a guisa di martelletto, la quale spinta batte

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