Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 414

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[DISCORSO DECIMOTERZO]
Del parlare.
Vedendo lo spirito che l’aria suona in ogni guisa, si
sforza di quell’aria ch'esce fuori nella respiratione far tante
figure di movimento quante ne patisce da esse cose,
imitando esse per esprimerle. Però, a significare
le semplici passioni interne, con l’arteria solamente l’aria
spingendo fa le voci, dalle quali apprendemo a scrivere
le lettere vocali. Et volendo imitare le cose composte et
esterne, onde pate altri moti, fece molti battimenti con la
lingua, col palato, con denti et con le labra, tanto che assomigliavano
i suoi moti a quelli che dalle cose riceveva.
Onde dal suono tup, tup che fa un legno che batte un altro
i Greci hanno il verbo «tuvptw», et noi «batto»; et dal
vibrare dello staffile «verbero», et volendo significare l’eminenza
d'una cosa diciamo «alto» etc. Talché queste battute
d'instrumenti vocali figurano <l’aere> in ogni modo
simile alle cose. Onde li caratteri che in carta esprimono
tali voci s'appellano consonanti, perché sopra l’aere della
sonante arteria intonando con ella suonano. Et ella sendo

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