Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 480

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come i Pittagorici fanno, o mettere numero infinito d'anime, sendo
il mondo eterno et huomini passati infiniti secondo Aristotile, il
che egli nega. I seguaci christiani mettono l’anima venir da Dio,
ma <errano alcuni> mentre l’operationi dello spirito corporeo attribuiscono
all’intelletto da Dio infuso et lo rendono sospetto di mortalità,
mentre Aristotile seguono più che la raggione et li santi
Padri. Ben dice Scoto che Aristotele fu dubbio dell’anima,
et Durando che l’intelletto agente sia cosa finta et
soverchia.
c. I Romani facevano bene, che notavano gl’individui da
qualche proprietà del naso, de piedi, del busto, et non a caso, come
facciamo noi servendoci dell’amor proprio, non del senno.
d. Quindi è venuto il giuoco delle carte, fatte simili di fuori
perché non si conosca in loro il particolare, ma l’universale. <Onde
si vede l’universale> non esser altro che somiglianza et il particolare
dissomiglianza.
e. Aristotile et Porfirio non seppero diffinire che cosa è specie
et genere, ma solo che sia nell’uso del parlare, mentre
dicono: Il genere è quel che si dice di molti differenti in specie etc.
Et io dico: È communità di communitadi, apprese come uno
per la lor somiglianza notata dallo spirito sciente e mosso con
un nome. Et la specie è communità non di communi, ma di particolari.

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