Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 502

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[DISCORSO DECIMO]
Dell’ammiratione.
Finalmente l’ammiratione ne fa il riso, la quale è un
raccoglimento di spiriti uniti a contemplar una cosa nuova
et grande: laonde s'inarcano le ciglia et si aprono le palpebre,
perché entri all’anima unita a considerare la cosa
appresa come degna di consideratione. Hor se lo spirito
l’haverà ben intesa et capita, al fine si rallegra di saperla et
ride per rifarsi della constrittione, nella quale travagliò
a considerare. Et quando la conosce non esser degna della
passata attentione, gli dispiace della burla et propria dapocagine.
Ma se prontamente vede che quella
non era degna di essere ammirata, si dilata in riso, quasi
sprezzandola et rallegrandosi d'haverla conosciuta senz'haversi
lasciato burlare, et godendo di esser dilatato, perché
questo è vita delle cose sottili. Così nelle comedie
vedendo o ascoltando qualche cosa che si propone come
ammirabile, et poi non riesce com'è proposta, ma si volge
in qualche destra sottigliezza, sogliamo ridere per la detta
causa e per lo gusto dell’arte, segnale della scienza che

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