Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 516

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avvezzarebbe sebene operasse. È l’operare effetto della potenza
spontaneamente agente, et non dell’uso habito, se non in quanto
rende perfetta la potenza. Et perché ogni virtùè
scienza et arbitrio, l’arbitrio è libero a volere e disvolere.Quinci
è che gl’impudichi per natura et gli avari per natura ponno
operare pudicamente et liberalmente, perché seguitano il decreto
della sapienza propria che dà legge alle virtù, o la sapienza della
legge divina predicata da Religiosi, a quali obedendo più meritano,
et perché ogn'un opera quel che c'è anteposto per bene
dal proprio et dall’altrui senno. Quinci è che, legendo il decreto
commune, taceno la propria natura. Onde s. Paulo sentìa la repugnanza
in sé della natura vitiosa con la legge divina infusa nella
sua mente. Per questo è vero che l’huomo non può oprar bene
senza la gratia universale di Dio, prima sapienza illuminante
ogni virtù, né bene meritorio senza gratia speciale. Però
i Peripatetici, che dicono le virtù essere habito dell’uso, son Pelagiani.
Et chi dice potenza naturale come noi il vitio in potenza
non erra, perché alla virtù natia dona merito di bene naturale,
ma alla commandata dalla Religione sopranaturale merito attribuisce.
Onde con la prima i Gentili, con la seconda i Christiani
si guidano.
c. Che le virtù sian naturali quinci si vede, che il troppo
caldo è iracondo, il freddo molle, il mediocre mansueto, <il puro
ingegnoso, l’impuro smemorato> et stolido; et chi ha natural
potenza a sapere con poco studio sa, et chi non l’ha
con longo non sa.Dunque non l’uso fa le virtù et i vitij, ma
son casi naturali, - come la gravezza alla pietra, che non ha modo

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