Tommaso Campanella, Aforismi politici, p. 136

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et insertargli in matrimonio, cioè con vertuosi popolari,
come fe’ Romulo in Roma e Canuleio.

133. O perché contrastanno al popolo de gl’ufficii et onori,
e delli beni, e delli tributi, e della legge agraria, e d’altri
simili:
e se vincono i nobili, perdesi la republica, perché
bisogna che tiranneggino spesso e rovinino; se vince la
plebe minuta, ogni cosa è peggio, perché i nobili se ne fuggono
e chiaman forastieri, et il popolo resta preda di ogni
cittadino ingegnoso o di forte forestiere.
E se la nobiltà
s’aggrega alla plebe per poter aver officii, s’avilisce con
quella e la republica manca, come sempre avenne a Firenze
e spesso a Genova. Rimedio è che vinca il popolo mezzo
tra la plebe et il senato de’ nobili, e che la vittoria del popolo
sia tale, che egli possa entrare negli ufficii et onori
degli nobili, che si dividono tra loro, e così gli campi e le
regioni, facendosi eletti e tribuni del popolo, e massime i
Grascieri, al che la plebe più mira, ché questi modi annobiliteranno
il popolo e la republica, e non avilisceranno la
nobiltà, ma la cresceranno. Però Roma per tali vie sempre
s’augmentò, vincendo la plebe, al contrario di Firenze, vincendo
ivi anco la plebe.

134. O perché si fanno le leggi contro il popolo e si opprime;
e per difesa de’ popoli si facciano i Tribuni della
plebe, che abbino cura che non si decreti contra quella.

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