Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 84

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come luci in esistenza, e noi non lo vedemo per la grossezza
delli pannicoli e humori degl’occhi.
E come si burlano e si
giocano degl’atti nostri, che credemo far in secreto, e son palesi
all’universo tutto; e come con un poco di caldo o di freddo,
o movendo l’aria e gl’athomi, ci induceno varie passioni
al senso, e desiderii e moti e paure e sdegni et odii, e che
guidano noi con questi affetti, come noi le belve, e vedeno
quando havemo a morire alcuni, alcuni no, e quel ch’havemo
a patire, e ci toglieno o recano l’occasioni, così come noi facciamo
al gregge, che sappiamo quando ci avemo a mangiar
quello e vender questo e donar quell’altro, e li menamo alla
beccaria, et essi non sanno, e si vedeno uccider gl’altri e poco
considerano la morte loro. Così le stelle fan di noi, e l’angioli
l’intendeno, e vedeno la mistura del caldo e del freddo quel
che ni apporta.
Viddi poi, sotto guida del Cherub, che la scienza nostra è
una stoltitia, e li gaudii e piaceri nostri son dolori, o mancamento
di dolori. E che più gaudio all’huomo che l’uso di
Venere? E nondimeno questo è un inganno, perché l’animale
perde la propria sustanza quando ciò fa, e diventa languido, e
la femina s’empie di un grave peso, e lo porta tanto tempo, e
con dolore lo parturisce et alleva. E fatigano gl’huomini
notte e dì per lasciar roba alli figli, e non sanno che saranno
quelli. Onde si vede che la natura donò questo amore e picciola
gioia per uno allettamento che ci tira alli guai, come
l’amo con l’hesca fa al pesce, e che Dio lasciò questo ordine

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