Tommaso Campanella, Monarchia del Messia, p. 63

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ma fussimo di lingua e religione varia; affinché, perduta la
conoscenza tra noi traficassimo di paese in paese solo per via di guerra
e di morte, in continua paura senza charità con Dio padre nostro
e fra noi tutti suoi figli.
Ma Dio permette pure questa prattica per
guerre, carestie et pestilenze, perché havendo noi lasciato lo studio
delle cose divine, e de suoi mirabili effetti per questi flagelli fussimo
sforzati a peregrinar, e cercar di sapere il mondo e l’opere sue, cercando
rimedio a nostri mali, e di pregar Dio che ci aiuti, e di punirci
l’un l’altro perché la vessatione ci doni intelletto, come disse Isaia, e
per trasportar la religione, et la politica, e per insertar li semi caldi
con li freddi, et migliorar la razza, come si fa nelle castagne inserte.
La invenzione del mondo novo ha partorito mirabil scienza tra noi.
Le guerre di Cesare, con Alessandro, et di Ciro, introdussero la politica
dove non era, e punirono le barbarie.
Le trasmigrationi tante del
popolo d’Israel han portato tesoro infinito al mondo, multiplicando
la conoscenza del vero Dio, et insieme sendo essi puniti, perché
meglio lo conoschino, e predichino secondo disse Tobia. Hor se Dio
si serve di tanti mali in bene, quanto meglio saria il bene passar in
meglio sotto l’unità della fede et prencipato universale.
Però Dio un
re fece al mondo, et un solo sarà secondo scrisse Ezechiele: Erit rex
imperans omnibus unus
.
Erra grandemente Aristotile pensando, che uno non può governare
tutto il mondo, perché, come egli argomenta, non arrivaria il
suo timore a tutte le nationi, come l’anima non può arrivare un
corpo maggior del suo proprio assai, né una nave lunga uno stadio si
potrìa guidare. Perché, dico io, vi sariano locotenenti ordinarij in
tutte le provincie a tempo mutati, et il successor sempre in ordine, se
morisse quello; et da tutti insieme si obedirebbe al capo principale, e
questo provederia li magistrati grandi, et i grandi, li piccioli; et
Aristotile non vide l’imperio di Augusto, che stimò impossibile pur
tanto grande.
L’essempio della nave d’uno stadio non conclude, perché
i mari nostri ad Aristotile noti non sono si profondi, non arrivando
ad ottanta passi il sardo, thireno, e siculo a lui visti più che a
tutti gl’altri profondi. Talché non si può sostenere tanta mole in
poca aqua, che non affondi in gran parte, e per conseguenza non si
può reggere, o tirare ad ogni verso per la molta aqua impediente e
poca forza d’huomeni, a quali il mare non è naturale. Ma li regni

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