Andrea Suggi, Schede (2010), scheda 8

Tommaso Campanella, Politici e cortigiani contro filosofi e profeti, in Germana Ernst, Il carcere il politico il profeta. Saggi su Tommaso Campanella, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2002, pp. 143-179.

Argomento del breve trattato, diviso in tredici capitoli, è lo scontro tra ‘politici’ e ‘cortigiani’, da un lato, e ‘filosofi’ e ‘profeti’ dall’altro, scontro che definisce il contesto all’interno della quale Campanella inserisce anche la propria esperienza biografica. La data di composizione del testo è fatta risalire al 1627, al periodo, cioè, immediatamente seguente alla liberazione dal carcere di Napoli e al trasferimento a Roma, fase di grande e profonda frustrazione per il filosofo, deluso nelle aspettative di miglioramento della propria condizione che immaginava sarebbero seguite alla sua uscita dalla carcerazione napoletana. L’opposizione tra ‘politici’ e ‘filosofi’ è radicata nella profonda opposizione esistente tra quanti, i ‘politici’, orgogliosamente e assai presuntuosamente rifiutano di cogliere la presenza divina nella natura e nelle vicende umane, fidando solo nella propria astuzia, nutrendo la propria ambizione con il perseguimento di obiettivi di potere e di successo mondani, inseguiti con spregiudicatezza e facendo ricorso a ogni mezzo, comprese la lusinga, l’inganno, la piaggeria, la maldicenza, tutte ‘armi’ di cui ben sanno avvalersi i ‘cortigiani’; e chi, come i ‘filosofi’, dedica la propria vita alla ricerca della verità, andando incontro all’avversione di coloro che proprio grazie al nascondimeto e alla manipolazione della verità ottengono ciò che desiderano. Si tratta perciò di uno scontro necessario, nel quale, però, Campanella, in quanto ‘filosofo’, è destinato a subire attacchi duri, scorretti, volti a gettare discredito e diffidenza contro di lui e sulla sua opera. Campanella svela quindi le dinamiche della vita di corte, descrivendo i reali moventi celati dietro a molti degli accadimenti politici del suo tempo in modo disincantato, persino crudo, senza però per questo mai deflettere dal convincimento che ogni evento sia espressione dell’intelligenza divina, insita nella natura delle cose e degli eventi e, benché possa non esserne immediatamente chiaro il senso più intimo e profondo, non derivi mai esclusivamente dal caso o dall’ambizione umana.