Tommaso Campanella, Lettere, n. 133
A PAPA URBANO VIII IN ROMA
Parigi, 29 gennaio 1636
Santissimo Padre,
operando con lo spirito di Vostra Beatitudine, ho convertito alla fede catolica
romana il marchese d’Asserach,
            persona di spirito nobilissimo, scendente
dal fratel di Massimo imperatore, che, scacciati gli Armorici, donò
            a’
Britanni quella parte di Francia ove egli è marchese, e tien anche una isola in
mare; ed è ferventissimo verso la
            Sede apostolica, avendo letto i miei libri,
particolarmente De monarchia Messiae. Mando la sua
            abiurazione. Vostra
Beatitudine mi favorisca darmi facultà di poter riconciliar eretici e assolver
da tutti casi
            concernenti alla loro conversione. Tengo negli ami di san Pietro
pesci assai grossi, e spero mandarli a Vostra Beatitudine;
            e averei fatto gran
cose, se gli Ugonotti non sfuggissero la disputa con me. Né si trova di lor chi
non resti convinto
            dal vostro servo. M’ha impedito assai anche la pessima
relazione ch’ha dato il Padre generale contra me al Re e al Cardinal
            Duca
per mezzo del padre Carreo, strumento di sue frodi, ch’ha posto tutti conventi
di Gallia in tumulti, tanto che li
            pérdon l’obedienza per ordine del Cardinale
e del Parlamento, e io non mi confido rimediare, perché ecc. Ma per
grazia
            di Dio ho chiarito tutte le calunnie e lui è tenuto per quel ch’è, e il
vostro servo per vero figlio di San Domenico. Ho
            tirato gran parte di dottori
col libro della Monarchia e in parte i padroni, come vedrà dalle
            proteste che
li saran fatte, quando verrà il marchese di Covre. E di più, il Parlamento
avea fatto decreti contra i
            contradicenti ad Aristotile e così la Sorbona, e il
vostro servo ha stampato un libro, approbato dalla Sorbona e dal
            Guardasigilli
con privilegio regio, De gentilismo praesertim peripatetico non retinendo.
Veda Vostra Beatitudine da ciò in che esistimazione sta il vostro fedel servo.
 Vorrei mi sentisse quando parlo di lei, e pur
            miri alla zizzania ch’ha cercato
il padre Rodolfi metter tra Casa Barberina e ’l Cardinal Duca e la Sorbona,
quali io
            presi per giudici delle cose mie. E pur ha contaminato i nunci,
che io non stampassi i libri approbati in Roma. Talché non
            sol la Sorbona e ’l
Cardinale trattò da ignoranti o d’eretici, ma anche Roma, colle sue passioni
cervicose, ostinate
            ecc.; i libri miei fan frutto in ogni parte, quelli degli emoli
scandalo e disprezzo della Santa Sede e della Chiesa romana:
            né mi confido
obviare, se Vostra Beatitudine non apre gli occhi sopra me e sopra loro.
Il reverendissimo Mazarini si parte. Supplico Vostra Beatitudine proveda
al servo suo per altro mezzo, chi non
            sia contaminato dallo spagnolismo
del padre generale. Io so ch’ha tentato tutti: non voglio dire se l’ha espugnati:
solo
            di me li dico che tutto il mondo non può mutarmi l’affetto e gli effetti
chi devo a Vostra Beatitudine, e che, se l’invidia
            non avesse insusurrato
tante menzogne e scrupoli falsi all’orecchie dell’eminentissimo Barberino, io
averei già stampato
            i suoi poemi e testificato al mondo quel ch’io e tutto il
Cristianesmo devemo a Vostra Beatitudine. Io sto all’obedienza. Li
            ministri
convertiti giubilano, quando li narro che Papa avemo e come Vostra Beatitudine
ha ricevuto le scritture
            loro.
Lo spirito di Vostra Santità è sempre nel mio core; li bacio li santi piedi e
li prego dall’Altissimo vita lunga e colmo di
            felicità. Amen.
Parigi, 29 di gennaio 1636.
servo eterno, fedele, verace,
devotissimo, umilissimo
Fra Tomaso Campanella
