Tommaso Campanella, Poetica, p. 417
scuotere affatto il giogo della servitù, né riavere l’imperio.
Però consigliarei chiunque volesse far poema eroico,
che seguisse questa generosa
impresa parlando con versi
esametri, perché, se ei non averà la lode di Virgilio,
appena averà quella d’Ennio, padre del primo della buona
poetica latina, di cui
Virgilio, Lucrezio e Orazio con ogni
altro buono se ne preggia, con somma gloria di
lui: e
maggiore sarebbe se avesse passato l’ingiuria de’ tempi
barbarici. Lascio
dir degli altri, come altro d’Andronico,
Cicilio, ecc., perché ad Ennio do la palma,
per quanto
da’ frammenti se ne cava di loro e dal testimonio de’
buoni. È gran
pazzia di coloro, che dicono la nostra
lingua non esser capace di tali numeri – come
ancora
dicevano i Romani della loro, prima che scrivesse Valerio
Sorano ed Ennio,
e poi mutôrno parere –, perché
ne ho visto affatto buonissimi de’ versi misurati, per
essere
i primi, e migliorare si ponno da’ posteri, come
Virgilio cantò leggiadro
poscia che Ennio cantò ruvido.
Ecco la sperienza:
O servili
petti, perché la gloria tanta
de’ nostri antichi fate che non vi mova?,
li quai
versi sono più sonori di quelli di Ennio, i quali
Virgilio riduce in gran politezza,
nella quale dalli
nostri posteri questi più leggiadramente potrebbono essere
messi: se fusse in questi versi pur qualche magagna
d’arte imperfetta, tolta
sarebbe poi. E perciò io ne ho
fatto l’Arte versificatoria, la
quale si trova in mano dell’Erario,
spirito gentile e nostro amico.
Sapete fra tanto che i nostri poeti eroici, per mancamento
di meglio, si servono
dell’ottava rima e l’abbellîro
con politezza e gravità quanto saper ne puote, ché
esempio maggior di quella del Tasso non potrà riuscirne.
Pur io sarei di parere
che la terza rima fia più al proposito,
perché non sempre il dire ogni otto versi, come
fa
in quella, [è opportuno], ed è più atta a materie
lunghe, come sperimentiamo in
Dante.
Non starò a trattarvi come li nostri versi han preso