Tommaso Campanella, Poetica, p. 357
oppressa da’ Turchi col santo sepolcro e con i luoghi
sagri: e tutte le
cause oneste e pie sono giuste. Finalmente
è gran giustizia e pietà soccorrere a sé e
alla
patria posta in periglio, come dissi, della vita, quantunque
con ragione
propria e sicura fusse in tal periglio,
come disse Ignazio, capitano di Sanniti, a’
suoi, quando
erano ben stretti da’ Romani: «Iustum bellum quibus
necessarium et pia arma quibus non nisi in armis posita
est salus», dice
Tito Livio; e questa pietà fu grande
in Camillo a venire per liberar Roma occupata da’
Francesi,
dalla quale egli era stato sentenziato ingiustamente:
e questi sono veri
soggetti de’ veri poeti, non cianciatori.
[XV. Il poeta di fronte al suo tema eroico].
Pure tutte queste giustizie e altre l’accorto poeta deve
colorire a suo commodo,
quando mancano in parte col
flusso e reflusso dell’universitadi umane, coll’ordine
fatale
di Dio; deve poi dalla parte più giusta fare la vittoria,
tanto nelle
battaglie singolari, qual fu tra Achille
ed Ettore e tra Enea e Turno, quanto nelle
communi,
qual fu tra Greci e Troiani, Latini e Toscani: però Lucano,
trattando la
guerra tra Cesare e Pompeo, benché
egli fusse pompeiano per essere dependente da
Catone,
che fu stoico come egli fu e suo zio Seneca, nondimeno
si sforzò mostrare
anco la giustizia della causa di Cesare
vincitore, quando dice:
Namque sibi esse negat quemquam Caesarve priorem
Pompeiusque
parem. Quis iustius induit arma
scire nefas: magno se iudice quisque tuetur;
vicerit, causa Deis placuit, sed vita Catonis...
Bisogna anco mostrare la grande difficoltà dell’impresa,
recata a fine doppo molti
affanni per la potenza
de’ vinti, non minore di quella dei vincitori di forza, ma
di giustizia sì; laonde si vegga che il caldo della ragione
fa gli uomini
vincitori contro i giganti che hanno il
torto, e non la pura forza, acciò quindi
s’impari a far
guerra con ragione e per diffendere, e si fugga il torto:
come
Golia, di David più forte, ma non più giusto, onde