Tommaso Campanella, Poetica, p. 428
per la medesima contrarietà, sta male quel verso
dell’Ariosto:
Dal molle avorio al candido colore,
perché all’avorio non compete la
mollezza, ma la durezza:
però non può essere trasferito a designare la carne:
si
può dire avorio per la bianchezza e politezza, ma
non «molle avorio».
Poi per la regola prima non devono le voci trasferirsi
da cose che ci inducono brutto
pensiero, onde Cicerone
dice che malamente si direbbe: «Castratam
rempublicam
morte...», perché ci fa pensare a cose sporche e vergognose,
quantunque il traslato ha molta proporzione.
Si concedono però a’ commedianti
questi vizi di trasferire
e da lontano e dal contrario e dal vergognoso, perché
ancora il proprio si usa di questo. Fu lecito a Dante,
per mettere in odio quelli
che biasmava, dire:
ed egli avea del cul fatto un trombetta,
e
altrove, per disprezzo di Macometto, dice:
fesso dal mento insin dove si trulla.
Dante ebbe assai del pittagorico, ché beneficiando il
pubblico ha sempre favellato.
Il poeta deve essere sospeso da’ traslati forastieri [e
usar voci] nostrali e communi
e particolari, e non tutte
e non troppo forastiere, perché si fanno barbarismi, come
si vede nei traduttori d’Averroè; e non si fa, [se
non] per alcun fine altramente
inteso, come il Petrarca
fece un sonetto di voci latine, italiche e francesi, e
altri sogliono fare versi pedanteschi; ma neanco troppe
o tutte voci metaforiche
devonsi usare, perché diventa
enimma, vizio grandissimo del poema. Però il Petrarca
in
quel sonetto:
Passa la nave mia colma d’oblio...
è ragionevolmente
biasmato, perché dal principio al
fine ha tutte voci metaforiche, sì che a pena si
puote
esponere; inoltre, che è necessitato frammettere per questo