Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 132
denso e ripugnante, dilatarsi l’anima nei domiti paesi. Quando
il fuoco è rinchiuso nelle nubi o dentro la terra, perché è di natura
mobile e raro, e la quiete e la densità è morte a lui, come la rarità e
moto è morte della terra, egli con impeto si amplifica, rompe e fracassa
ogni cosa che può esser causa di sua morte, getta al suolo edifici
grandissimi e monti, e le nubi dissipa e consuma ritenenti. Questo
limita l’animal gagliardo rinchiuso in nemico loco. Né sia chi
pensi non aver senso perché spesso il folgore naturale e artificioso
va a dar dentro l’acqua e smorzarsi, imperoché questo avviene dall’impeto
che fa per uscir dal stretto, e non può frenar se stesso per
la materia che seco porta, né tempo ha di discorrere l’impetuoso
mobile. Così pur l’animale, fuggendo qualche violenza, se incontra
precipizio si lascia cadere in quello, e s’ancide.
Ben miseri noi che, per aver senso tanto debole, ci pensiamo
che il veloce e potente sia insensato, né miriamo che ogni sentimento
è necessario che venga dal medesimo principio dal quale
avemo il moto; e se per il fuoco ci movemo, cocemo, nutrimo e
crescemo, è forza stimare che per esso sentiamo ancora, mentre
più senzienti sono i più focosi animali che li freddi e smorti; e se
noi vedemo perché la luce affetta dal visibile infà poi lo spirito nostro,
molto più essa vede che è primo affetta e mossa. All’incontro
si vede la terra mandare in alto ombra e freddo; e per quel poco
che vale occupar l’aria e li vapori e l’acque e gelarli, e in giù tirarli
e densarli in cristallo e in cose più simili alla terra. E spesso
il freddo, tra cose calde rinchiuso, si moltiplica e unisce per ripugnare
al caldo, come li soldati di Cesare presero figura sferica, cinti
da molti nemici in Belgio, e in Libia un’altra fiata. Così la neve
s’indura e le grandini, ritirandosi il freddo dall’aria in più grosso
vapore; e tornando la luce a terra e raddoppiandosi, temendo
il freddo di tornare basso in mezz’aria s’unisce, onde è più freddo
che il basso in tali tempi. Ha il freddo virtù amplificativa, dunque,
e sente il nemico calore e li repugna, ché senza senso non sentiria
la nimicizia, né dolore, e si lasciaria morire, poiché tanto saria il
gusto di essere quanto di non essere, mentre non sente né l’uno
né l’altro, né la vita né la morte.