Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 195
Credo che il pelo del cane arrabiato e la tarantola morta, posti
sopra le morsure loro, tirino a sé il veleno e facciano sanare, senza
dubbio per l’amicizia che ha con loro, e odio che ha con noi il
veneno. Or chi sapesse cavar dall’oro spirituale veemenza quale è
quella del cane rabbioso, e non ordinaria qual del sano, potria,
meschiandola ad altri metalli, convertirli in oro. Può l’oro avere
tal virtù sopita e con fuoco vigorarla, come l’ardor del sole la fa
eccitare nel cane e la dona per natura alla tarantola; ma non so se
l’oro, che non ha spirito mobile, possa farsi tale senza essalare e
convertirsi in altro ente; ma chi saprà far arrabbiar l’oro, saprà in
quello far trasmutare i metalli.
Appendice del capitolo 10
Dalla predetta dottrina si può sciogliere il quesito di N., che un
del regno nostro, cui fu tagliato il naso, volendolo ristorar secondo
l’arte mirabile uscita da Tropea, città di Calabria, comprò un servo
e li promise libertà se dal suo braccio lasciava il naso rifarsi, tagliandoli
tanta carne cresciuta in una incisura a cui per 40 giorni il
naso se attaccava e ingeriva insieme, e si fa uno continuo, onde si
estrae quello che al naso mancava. Il che fatto, visse duoi anni il
servo, e poi si morì; e putrefacendosi il cadavero, viene anco a putrefare
quella particella del naso che fu, di quel cadavero già vivo,
estratta. Del che mi cerca da qual anima de dui era animata quella
particella? Se da quella del servo, come se nutria et avvivava
nel patrone secondo questi atti proprii d’anima interna e continuata
alla parte, la quale, sendo staccata dal suo tutto, langue e
muore, come si vede in quella carne che noi tagliamo e gettiamo via.