Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 62
grossa mole per la vita commune organizzata, non tutte passioni
di tutte le parti arrivano, ma solo quelle che allo spirito, per communicativo
mezzo, attingono. E questo non si scorge nelle parti liquide
e tenui molto, né nelle dure assai, ma nelle molli è manifesto,
perché, toccando la carne piena di calore e di spirito, patisce,
e per il corio e nervi si communica il senso fin alla università dello
spirito che abita nella testa, e così quello giudica doversi soccorrere
o fuggire o seguire. Però, quando uno dorme o attende a
gran studio, non solo non sente nei capegli e vesti tagliarseli, ma
né anco nella carne leggierissimamente punto; non che la carne
non senta, poiché questi filosofi lo confessano pure, ma sente benissimo,
ma perché non si communica la sua passione allo spirito
principale, nelli penetrali accolto a considerare o a vincere il vapor
del cibo e far altrove la nutrizione. Quinci ti puoi accorgere
che lo spirito animale sta nel corpo come nocchiero in nave e signore
in suo palagio e popolo in città, ma non come forma informante
equalmente tutto il composto, secondo pensa Aristotile,
perché, se così fusse, ella mai non si potrebbe svellere dalle parti
esteriori, e andar dentro, e non sentire in ogni particella da sé informata,
come il calore, forma del fuoco, non può da lui partirsi,
né da alcuna sua parte, che il fuoco o quella parte non resti spenta
e morta. Ma di ciò più appresso dirò.
Così, dunque, quando lo spirito esala, se il sangue vien fuori,
toccandosi, non si communica quel tatto allo spirito e sangue che
dentro sta, perché si perde il moto innanzi che dentro torni per la
disgregabilità e disunione che de facile patisce il liquore e lo spirito,
come, toccando l’acqua ch’esce dal fonte, non rientra quel
moto impresso al fonte; ma ben quando l’acqua sta in una conca,
toccando una parte, tutte s’agitano con manifeste circolazioni.
Però, quando tra vene qualche vapor maligno si trova, il sangue e
lo spirito s’accende a scacciarlo, e s’agitano tanto che quel vapore
e umore si scalda e assottiglia, et esce fuor delle vene per le commissure
delle fibre; e questa è la febre, che tanto giova restando
vittorioso il sangue e lo spirito, e nuoce restando vinto, non perché
la sua accensione nuoca, ma perché quella accensione, che febre
s’appella, non vaglia a superare. Può star anco che in una gran
ferita toccando il sangue, perché lo spirito è fuggito dentro, poco
senso si faccia, e il dolor della piaga non fa percipere quest’altro
senso, come il calore della vivanda cuopre il sapore. Si vede pur