Tommaso Campanella, Monarchia di Francia, p. 550

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3. Di più, mentre si dona all’Italiani il loro, si leva da nemici spagnoli,
e il re di Francia racquista il suo, e si fa grande e invitto in modo
che, se volesse, esso solo è bastante poi a soggiogar la Spagna e l’Italia,
come si vide al tempo di Carlo Magno. E li Genoesi li sarebben
grande strumento ad infinite imprese. Dunque più è il recever che il
dare, mentre tanta liberalità in dare si mostra, e s’accattiva l’Italia, che
sempre fu grata a Francesi, onde i suoi poeti non cantan li Cesari, li
Metelli, i Scipioni, etc., ma gli eroi di Francia ne lor poemi: come il
Baiardo, il Tasso, l’Ariosto, il qual poeta scrisse che mai li gigli fruttano
fuor di Francia, perché quanto pigliano subito lo perdeno, se non
vanno ad abitarlo, come fe’ Carlo d’Angiò quando prese Napoli, non
imitato da Carlo VIII, che subito acquistato lo perdette.
Art. 9
Modo di levar il regno di Napoli a Spagnoli nel concetto di tutti principi
ecclesiastici e laici, e metterlo in commune.
Item
, bisogna proporsi in animo e predicarlo a gli Italiani, che la discordia
e lite perpetua di Galli e Suevi e Spagnoli per il regno di Napoli
fu causa, che i Maomettani ci occupassero ducento regni in Asia, Africa

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