Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 111
delli generosi e confidenti è propria la comunità, e di
quei che son da poco, che han posto nel fango ogni lor cura,
è propria la divisione.
Però si ingannò Soto, dicendo che sia heresia asserir la
comunità; anzi dico che il negarla è vera heresia secondo il
nome e li fatti di heresia. E si fosse heresia, sariano heretici
gl’apostoli che l’osservaro, e tante religioni savie e di monaci
e frati, e l’antico clero, poiché la divisione si cominciò a
tempo di Simplicio papa, piutosto per modo di permissione
che di legge, come dice santo Agostino allegato da Gratiano:
«Io più tosto voglio permettere il clero zoppo o cieco o
monco che non morto», perché li clerici proprietarii son
monchi e zoppi nella via di Christo, ma gl’hipocriti,
che fingon di vivere in comunità et occultamente usurpano,
e rubbano del comune, son morti, perché si fingon d’essere
quel che non sono: dunque non sono quel sono, dunque
son morti.
E ben saria heresia dire che non han potuto li sommi pontefici
permetter la divisione e proprietà, perché essi han fatto
ciò ragionevolmente, condescendendo all’imperfettione,
come Mosè permette l’usura con stranieri e ’l repudio. Ma
non però negò mai il concilio né il papa la comunità, che si
professa dalli perfetti religiosi, che Christo li mantiene per
ricordo del meglio e per fermento che il resto del mondo a
ciò riduca. Et allora sarà vero che ogni huom buono è signore
di ogni cosa, come Gersone e Riccardo sentono, e son