Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 201
quel tempo di tutto questo gran negotio. E Lentulo scrisse a
Tiberio di Christo come di Dio, et altre storie allegherà il
Baronio. E Filone che non dice de la scola di s. Marco in
Egitto tanto mirabile, e di sua vita filosofica in comune?
Di più, Giuda, che vende Christo, haveria scritto la furberia
di Christo e dell’apostoli per iscusar se stesso; ma egli pentito
si appicò: dal che si vede che non ci era mendacio.
E gli antichi Romani, come Cornelio Tacito e Svetonio,
narrano che la setta di Cristiani sia superstitione, e
così di hebrei; nondimeno non imputano a loro alcun vitio o
furbaria, ma più presto simplicità. E che Nerone falsamente
finse che li christiani havean brugiato Roma, che questo fu
atto della sua malvagità e l’imputò altrui. Si burlaro bene della
simplicità, come è solito, ma poi cedettero alli miracoli infiniti
et a tanto sangue, che furo stanchi ammazzando.
Di più, tutta questa testimonianza d’apostoli fu con miracoli
confermata, e con sangue, non solo da loro, ma dalli successori
loro. Dunque né inganno passivo né attivo si scorge in
quelli. Si trova poi che non furo suggetti a paura alcuna, che
se non temeano la morte e tutti posero la vita per quella fede:
di che cosa poteano più temere? Che cupidigia et ambitione
non sia stata tra essi, si scorge dal medesimo e dalla vita comune
e disprezzo di ogni cosa terrena: «Omnia arbitratus sum
ut stercora, dice san Paolo, propter eminentem scientiam