Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 49
non solo asserirle di Dio, ma d’ogni savio rettore humano;
e come dice Platone, l’artefice, quanto è migliore, tanto
più esquisitamente le cose grandi e le picciole conosce e
cura e provede nella medesima arte; non si dica dunque che
Dio, che vuole e sa e può, sia nelle sue opere negligente come
fuco d’api degno d’odio e di vituperio.
Diremo dunque che nel Mondo non ci sia caso né fortuna
per sé assolutamente, rispetto a Dio et al tutto, ma solo per
accidente e respettivamente, mirando alle parti ignare della
totalità delle cose: e che noi, ignorando l’uso di molte cose e
la ragione di loro esistenza, stimamo esserci caso, male e negligenza
nella università magna. Se io mando in piazza un
servitore, e poi mando un altro per strada di rincontro, quelli
s’incontravan tra loro a caso, perché non lo sapeano; ma rispetto
a me, che lo sapea et intendeva, non si dice caso, ma
provedimento. Se un correndo si gitta intra un fosso, che non
vedea, a caso cader si dice; ma se lo fè per qualche industria,
parerà agl’altri a caso, ma a lui è ragione. E se io tiro per
uccider una belva, et uccido un huomo, a caso ucciderlo
son detto; ma a chi mira altronde quell’huomo è senza caso
l’uccisione. E così a chi mi dice: Tira alla belva, e sa che è
huomo, è astutia, e non caso.
Dunque caso è avenimento fuor della conoscenza o della
voluntà o intentione della causa particolare, ma è provedimento
della causa universale, che tutto vede e tutto vuole per
qualche fine a noi ignoto. Non ci è caso a Lei, né fortuna, che
è lo medesimo che caso, benché si dica più degl’huomini che
degl’altri enti fortuna e mala fortuna, che senza prevederlo
arrivamo a bene o male non sperato, talché bona fortunaè
l’insperato bene, e mala è l’insperato male. Ma non però segue