Tommaso Campanella, Ateismo trionfato, p. 54
E per meglio pensar trovo che non ci sia nel Mondo morte,
ma solo trasmutatione, e l’incertezza di quello essere sequente
in cui si muta l’esser presente, onde li pare annichilarsi, ni fa
doler di tale trasmutamento, che si dice morte a tutte le creature,
pensando di lasciar quell’essere c’ha, e li par buono, perché
è assaporamento della Idea del primo ente.
Ecco il legno si duole quando si bruscia, che non volria
farsi fuoco, come nullo ente vorria mutarsi in altro, benché
migliore di sé, ma dopo che è fatto fuoco, gode d’esser fuoco,
e si scorda di quel che fue, né più brama esserci. Noi siamo
stati terra, lattuca, frumento, carne di bue, et assai altre cose,
et hora non ci dispiace che non semo quel che fummo: ma
godemo di questo essere, e ni dispiace morire e farci
vermi (parlo solo del corpo), ma poi piacerà lo essere vermi, e
dispiacerà mutarsi in huomo.
Qui ammirai la sapienza eterna, che, per farci conservare
quanto è bisogno al suo fine ordinato, a tutti ha dato la conoscenza
del proprio essere, e l’amore d’essere partiale e proprio,
al che inestò quasi per accidente e consequenza e l’ignoranza
di tutti esseri a quali ci mutiamo, e l’odio ancora, che si ciò
non fosse ogni ente desidereria farsi fuoco, perché il fuoco è
più nobile creatura d’ogn’altra fra li corpi, più viva, più sensitiva,
più efficace, più possente, diffusiva e gloriosa, luminosa,
e sacra natura veramente.
Non bisogna dunque assignar altro Dio del male, poiché
non ci è male né morte, si non rispetto del particulare essere;
ma tutte le morti son vita di altre cose nascenti, et ogni
corruttione è insieme generatione, e tutte morti e vite integrano
la vita totale del Mondo. Io mangio il pane, il
pan muore, e si dole a suo modo, e di lui nasce il chilo, il
chilo muore e si fa sangue, il sangue more e si fa carne, nervo,
osso, spirito, e li spiriti e carne sempre essalano, e dentro
il nostro corpo si fan continuamente mille morti e vite, generationi