Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 118

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XIV
Delli Baroni
dell’imperio spagnolo

Per mantenere un tanto regno ha bisogno il Re di grandi uomini
in lettere e armi, ai quali poi per remunerazione li doni qualche signoria
baronale, onde, participando di tal imperio, si sforzano mantenerlo
sotto li auspicii del Re loro. Però quando la baronia perviene ad
uomini indegni, ne nascono più mali.
Perviene a indegni quando il Re la dona a qualche suo buffone o
ruffiano, o altro tale officiale del fisco ch’han mostrato nuovi modi di
rubare i popoli, o vero quando la dona a un savio e valoroso, e poi i
successori di quello s’avviliscono per lussuria o superbia, non cercando
d’imitare la virtù degli avi loro, ma di godere e sollazzarsi delli beni
lasciati a loro dagli avi e gloriarsi solo nella nobiltà strana de predecessori,
e non della propria. Onde al Re mancano i virtuosi e crescono i
disutili. Per remediare a questo secondo male, il Turco ha tolto via
ogni nobiltà, altro che la propria, de suoi, e non vuole che erediti il
figlio del suo barone stato né facultà, ma che lo riconosca dal suo
signore se è virtuoso, e se non è, che serva in arte o milizia più bassa.
Al primo, ogni re di Spagna può remediare, donandole solo ai
meritevoli, ma a questo secondo, non comporta l’uso cristiano il
remedio del Turco, che pur guarda che non crescano le baronie in uno
e si ribellino per ogni occasione, come fece Scanderbego al Turco,

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