Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 103
può operare altamente. Pur se quest’anima sia nel mondo come
nell’uomo vi è la mente superiore allo spirito, altrove si è detto.
Poi dico a Pitagora che non è da stimare l’anima dell’uomo
uguale a quella de’ bruti per le tante cause sopradette; e s’egli dice
che la stanza dell’uomo è più ben organizzata di quella de’ bruti
e però in lei meglio l’anima mostra la sua divinità - onde Vesalio
s’ammira che nell’uomo non trova membro che non sia negli
altri animali, e nel cerebro le medesime celle che nella gallina
trovò, talché pare che il medesimo abitatore sia - io soggiongo che
l’anima dell’uomo non è commensurabile a tutti corpi, perché li
pulci, li pidocchi, culici, l’ostriche, gli uncini o ricci sono differentissimi
in tutto da noi, e non può il medesimo animo avvivar
queste e quelle, né l’anima di un elefante si può mettere in una
zanzara, benché incorporea.
Poi, se ne le bestie van l’anime, bisogna che vadano anco nelle
piante che sono animali immobili, come mostraremo, e Pitagora
dona senso come noi a quelle. Questo concederia Ovidio che
trasforma gli uomini in piante. E al fine nei sassi bisogneria riporle,
perché quelli pure sentono, e Ovidio pur lo concede, ma per
pena purgatoria, come san Gregorio le vide nei ghiacci e bagni e
per tutto. Ma questi sono giudizii divini, né si ponno intendere come
li faccia, e i detti di Pitagora includono qualche religiosità, ma
nulla certezza; ma oggi è empietà asserirli per legge di natura, salvo
se Dio per giustizia lo facesse qualche volta, come li demonii
anco nei corpi umani e di bruti animali entrano.
L’autorità di Salomone ha sensi mistici, ma la lettera s’intende,
ch’essendo buon fanciullo e ben operando, ha sortito anima buona,
perché sempre si megliora l’anima con le buone opere. E venne
quest’anima buona o bontà d’anima in corpo puro, perché il
mal composto corpo e viziato di temperie e di scelleraggine ripugna
alla bontà che Dio è apparecchiato donargli. L’altre sentenze,
che peccorno in cielo o che trasmigrino ogni mille anni o ogni diecimila,
qua non devo disputarle, perché bisogneria trattar li periodi
delle celesti disorbitanze, e se il mondo si rinnova ogni 7
mila anni, od ogni 49 mila, o ogni 25816, o ogni 36 mila, come diversi