Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 119
Noi giocamo, et ei si dilata e ride e si diffonde; noi corremo
dov’è il male della casa, et ei dove si duole il corpo; dispensiamo
il vitto alla famiglia, cocemo, purgamo, tritamo, et ei pur
cuoce, purga e trita e manda fuori gli escrementi. Noi usiamo l’elleboro
e il reubarbaro per stimolo di purgare, et ei usa l’umor
malinconico per aceto di far appetito, e il colerico per stimolo di
cacare. Noi ci unimo a conseglio, et ei si ritira in testa dove specola
li moti passati, vedendo chi ben lo mosse e chi male, per sapere
dove si ha d’appigliare, come noi l’istorie antiche studiamo
per esempi di ragione di stato. Noi andiamo a consiglio di sapienti,
e lo spirito, anzi essa mente nello spirito involta, a chi va
per consiglio? Di qui io cavo che quando non ci è moto passato,
né esperienza di quel che ha a fare, ei si consigli con qualche intelligenza
divina, come noi andiamo al tempio e a Dio e agli oracoli
dove non sapemo più. Questa intelligenza, se non è la prima
sapienza, sarà l’anima del mondo.
Di più, se a l’uomo non basta lo spirito corporeo a reggerlo,
ma trovamo che abbia mente immortale, assai più convenirà che
il mondo, più nobile di ogni ente e figlio del sommo bene tanto
buono e bello, abbia, oltre le nature particolari senzienti, un’anima
eccellentissima, maggiore d’ogni angelo che tiene la cura del
tutto. Sant’Agostino, nel libro imperfetto Sopra il Genesi, e san
Basilio nell’Esamerone, credono e provano che ci sia questa mente;
così Platone, Trimegisto, e tutti gran savii.
Ma dicono alcuni che basta la natura commune, e io dico che
questa anima sia la natura commune e arte universale da Dio creata,
infusa nel tutto. Altri attribuiscono a Dio questi atti secreti. E
io dico che Dio è infinito, e non può nulla natura creata ricever
l’influsso suo infinitamente, ma con modificazione finita, perché