Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 129
appellarsi cieli, perché l’ebreo non ha singolar numero di questo
nome. E le stelle moversi da sé dimostrai; altrimenti il loro piegare,
calare, alzare saria scompiglio delle sfere e molto più quel che
dicono che mo una sfera, mo un’altra porta il pianeta, e che se una
si stanchi, l’altra nell’intelligenza l’aiuti, e che rifiuti mo la sua perfezione,
che è il movere, mo la ripigli, e che muovono contra Dio
dall’occaso all’orto, movendoli Dio per forza dall’orto all’occaso,
e che movono per imitarlo, con tutto che facciano e vogliano il
contrario di Dio, movendo a contraria parte. Ma non è luogo questo
di dir di più.
CAPITOLO 4
Del senso delle stelle e degli abitatori loro,
e perché a noi si celano
Si può stimare che le stelle, mandandosi la luce l’una all’altra, si
manifestino i loro secreti, poiché la luce infarsi d’ogni passione
per la sua schiettezza vedemo, e il loro senso esser voluptuoso e
non doloroso perché non han contrarietà di qualità, ma più e meno
viva luce, e che esse sappino cose infinite di qua giù, poiché i
raggi per tutto stendono, e vedono infacendosi i raggi, e odono
communicandosi il moto.
Già s’è visto che non vede l’occhio, né l’orecchio ode ne’ morti
e dormienti, ma che lo spirito sottile nell’occhio vede e nell’orecchio
ode. Dunque le sottilissime stelle tutte sono occhio e udito
e sentimento esquisito; né credo che tra loro sia oblio et errore,
perché non esalano e non si perturbano, e però sappian l’origine
del mondo, forse, o dubitano perché il naso non sa quel che
sa tutta l’anima. Ma, dunque, essendo le stelle parti, non sanno
quel che sa tutta l’anima del mondo e tutto il mondo, ma quel che
a loro è avvenuto dopo che nacquero, e le cose che sono da venire
al mondo in gran parte sapeno; e l’anime beate, stando dentro
a case sì vive e lucenti magioni, tutte cose naturali e idee divine
mirano, e han poi il lume più glorioso che l’alza alla visione sopranaturale