Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 147
Gli altri che profetano delli regni e cose lontanissime non preparate
ancora nell’aria, è stoltizia pensare che sia profezia naturale,
quanto è stoltizia pensare che la bestia sia immortale come noi,
perché porta la carne in casa dove le commandiamo, e che siano
dèi i bruti donde abbiamo ricevuto qualche beneficio. Dunque bisogna
il tutto misurare e poi argomentare. È vero che li profeti
parlano del futuro con segni e imagini, e quasi tutti antiveggono
con imagini della profession loro; laonde Amos vide uncini, vacche,
carri di fieno stridenti, manipola de fabricatori perché era
rustico; e Isaia vide tempio, fuoco, animali nobili, fumo di gloria,
perché era nobile; e Daniele, cortigiano di re, statue di diversi
metalli, animali superbi, guerra di venti; e ognuno antivede come
a lui è naturale sentire.
Solo san Giovanni non parla di pescagione, ma di cavalli e angeli
trombettanti, d’ampolle di piaghe piene, di meretrice magna,
dell’Agnello, del Figlio dell’uomo con tanti significati vestito,
dal che ne cavo che Dio si serve per lo più de gl’istessi moti naturali
dello spirito corporeo in cui è la mente involta, e li fa vedere
per quelli stessi moti, da lui ordinati poi a significare con altra positura,
ordine e modello, secondo ch’essa è solita vedere; e questa
è la visione imaginaria di cui parla san Geronimo e san Tomaso,
onde di più argutamente nel trattato De temperantia parla san Tomaso
della profezia, perché come è affetto lo spirito, così è atto
a vedere, e però gli devoratori non sono profeti, che lo spirito è
grosso per li fumi, non atto di ricevere impressione superiore, né
l’ordine de li proprii moti mutare. E questi profeti, digiunando,
acquistano sottilezza di spirito, come Elia e Daniele mostrano, il
qual poi serve meglio alla mente e a Dio per figurar li moti in esso,
o li sopiti svegliare e ordinare.
Né l’uomo turbato da perverse passioni può profezia divina ricevere,
perché li moti non sono atti a componersi, se per forza